I circoli europei temono che la terza economia d’Europa e membro fondatore diventi capofila del blocco sovranista, ma guardano con favore la cautela che Giorgia Meloni sta mostrando in queste settimane. Se tiriamo troppo la corda sul Pnrr, sulla primazia del diritto comunitario, se andiamo alla rottura, a quel punto “la pacchia” finirebbe per noi, sostiene l’ex rappresentante italiano a Bruxelles e consigliere diplomatico di Napolitano
Fratelli d’Italia sarà il primo partito in Parlamento per la prossima legislatura e verosimilmente governerà con i soci di minoranza Lega e Forza Italia. Come hanno reagito le burocrazie europee alle elezioni italiane? Ne parliamo con l’ambasciatore Rocco Cangelosi, già rappresentante permanente per l’Italia a Bruxelles e consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano.
I primi passi di Meloni e Fratelli d’Italia sono di grande cautela e prudenza. Forse i timori principali all’estero derivano dalla presenza di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Come è stato accolto a Bruxelles il risultato delle elezioni italiane?
Un po’ con preoccupazione, ma si vuole aspettare di vedere quali saranno le azioni concrete. Se si dovesse avere un’Italia che abbraccia la linea sovranista, soprattutto quella che rivendica la primazia del diritto nazionale sul diritto comunitario, l’Ue si troverebbe in grosse difficoltà. A Paesi come l’Ungheria, la Polonia, la Repubblica Ceca si aggiungerebbe un peso massimo, un membro fondatore. Significherebbe mettere in discussione le decisioni della Corte di Giustizia e quindi l’intero apparato comunitario che si basa su questi principi.
Salvini a Bruxelles è conosciuto naturalmente per l’attività nel governo passato e per l’atteggiamento che ha avuto nei confronti dell’Unione Europea. Sappiamo che ha avuto sulle questioni migratorie una linea molto restrittiva, anche punitiva, e in generale ci si ricorda la posizione verso il progetto europeo, la tendenza a privilegiare interlocutori come Orban. Naturalmente la Commissione non giudica la campagna elettorale, ma le azioni concrete.
Per quanto riguarda Berlusconi, fa parte del Ppe, quindi ovviamente è noto, ma la novità e l’attenzione è soprattutto su chi sarà il premier di questo governo, i partner di coalizione seguiranno a seconda del rapporto di forza che si è creato in parlamento.
Dobbiamo preoccuparci per l’erogazione dei fondi del Pnrr?
Beh guardi, bisognerà vedere. C’è molta prudenza sia da parte di Meloni sia da altri membri di Fdi come Crosetto, il quale ha detto che la manovra finanziaria dovrà essere scritta a quattro mani col governo uscente. Sul Pnrr, anche lo stesso Commissario Gentiloni ha ricordato che se si dovesse mettere tutto in discussione si allungherebbero i tempi eccessivamente per avere i fondi che sono già stati sbloccati. Poi certo, qualche piccola modifica si può fare, su questo ci sarà grande attenzione, visto tra l’altro che dovremo ricevere la terza tranche. Vedremo. Non è ancora nemmeno formato il governo.
I nostri alleati per quanto riguarda il Pnrr e la riforma del patto di stabilità sono la Francia e la Germania perché è con loro che il governo Draghi ha negoziato ed è con loro che proseguirà la trattativa sulla crisi attuale, quella energetica in particolare. Le forze oggi in parlamento hanno dei contatti consolidati con l’Ungheria, con la Polonia, con un settore sovranista che giocherà le sue carte all’interno del Consiglio Europeo. Non credo che Giorgia Meloni sposerà né l’uno né l’altro consesso, ma è chiaro che prenderà alcune posizioni in linea col fronte sovranista, e il voto che c’è stato sulla questione ungherese settimana scorsa ne è la prova.
Forse quando si sta all’opposizione è più semplice schierarsi con la linea di Orban. Quando poi si va al governo, gli interessi italiani spesso confliggono con quelli ungheresi, con la linea sovranista in generale.
Certo, quando si va al governo bisogna fare i conti con i Paesi trainanti, quelli con cui noi abbiamo portato avanti il processo di integrazione europea. Staccarsi da questa linea sarebbe certamente molto negativo, profondamente controproducente. Esiste una tradizione di rapporti molto profondi dell’apparato statale italiano con Francia e Germania, noi abbiamo dei tavoli di lavoro consolidati da molti anni. Voglio dire, al di là di quella che può essere la linea partitica esiste un deep state che ha relazioni molto forti con quelli che sono i Paesi fondatori dell’Unione.
Von der Leyen ha affermato che se l’Italia dovesse abbracciare il sovranismo populista, Bruxelles avrebbe gli strumenti per raddrizzare la direzione. Al di là dell’uscita poco felice, quali sono questi strumenti?
L’uscita rende l’idea delle opinioni che hanno in Commissione Europea, anche se certamente è stata poco ortodossa e un’entità internazionale dovrebbe astenersi dal fare commenti prima di un’elezione. Per quanto riguarda gli strumenti, sono quelli previsti nei Trattati, quelli utilizzati nei confronti dell’Ungheria. Quando c’è una deviazione dai principi fondamentali uno stato membro può essere sanzionato, secondo l’articolo 7, arrivando fino alla possibilità di sospendere il diritto di voto. Con l’Ungheria si è arrivati a una sospensione dei fondi. La costruzione comunitaria si basa sul diritto e sull’interpretazione delle norme da parte della Corte di Giustizia, che funge da organismo federatore dei vari diritti comunitari. Se si attacca o si rompe questo meccanismo è chiaro che crolla tutto il sistema.
L’italia ha già avuto un governo populista tendente a destra. Vede delle differenze e analogie con oggi?
Chiaramente c’è il ricordo del primo governo Conte e si teme che si ricrei una situazione analoga. Giorgia Meloni in realtà non si dichiara “populista” e l’approccio finora seguito è di grande prudenza. L’esperienza del passato la mette in guardia dal prendere posizioni di rottura con le istituzioni comunitarie. Credo sia consapevole della necessità di poter godere dell’appoggio dell’Ue sia per quanto riguarda il debito, sia per i finanziamenti da erogare. Un Paese come il nostro si porrebbe a rischio se rompesse i ponti con quella che per noi è “la pacchia”. La pacchia finirebbe per noi.