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Il festival di Venezia apre con il “rumore bianco” di Baumbach

La 79ª Mostra del Cinema di Venezia si è aperta con la proiezione del film di Noah Baumbach che segna il ritorno del regista americano al Lido a distanza di tre anni da Storia di un Matrimonio

Venezia – White Noise, cioè un rumore bianco, un rumore che funziona per negazione, come il buco nero di una galassia che trae la sua forza magnetica da qualcosa che manca. Questo il titolo del film che ha aperto la 79ª Mostra del Cinema di Venezia è di Noah Baumbach segna il ritorno del regista americano al Lido a distanza di tre anni da Storia di un Matrimonio.

La prima operazione di Baumbach è quella di sceneggiare un’opera che sembra scritta per essere infilmabile. Come nel romanzo, protagonisti di White noise sono un celebre professore di studi hitleriani Jack Gladney (Adam Driver) con la sua famiglia, composta dalla moglie Babette (Greta Gerwig) e i loro quattro figli.

La loro vita viene sconvolta dopo che un incidente nella città provoca una nube tossica che mette in fuga tutti i cittadini. L’associazione con il Covid è inevitabile. Ma il regista usa il Covid per spiazzarci e portarci a pensare a quello che del Covid, a nostra insaputa, ci siamo goduti…

Tutto sta nella domanda iniziale, che il professore film pone ai suoi studenti (e a noi): “Perché siamo così attratti dai filmati degli incidenti?”. Di risposte il professore ne darà tante durante il film: forse perché abbiamo bisogno delle catastrofi per abbattere il flusso ininterrotto di informazioni e immagini a cui siamo sottoposti. Ma soprattutto perché in quelle che sono classificate come “violenza” e “distruzione” c’è esattamente ciò che la società contemporanea più spinge a cercare: è quello che in uno spettacolo ci fa eccitare nel vedere due auto che scontrandosi esplodono, quello che le folle cercano nelle promesse sanguinarie del loro leader.

Quando la nube tossica arriva, coglie la famiglia Gladney nella sua verità. Oltre al professore, con la sua attrazione per lo stato ipnotico delle adunate di Hitler, c’è Babette la moglie, che nasconde la sua disperazione sotto la facciata di donna bizzarra. Di nascosto Babette si impasticca, prendendo un misterioso psicofarmaco. In famiglia non se ne accorge nessuno, tranne la figlia adolescente, che su questo aprirà un’indagine. A un altro adolescente, il figlio, è affidato il ruolo di testimoniare la realtà della nube tossica, lottando contro le difese degli adulti a non prendere atto.

Un evento, quindi, va a interrompere quel magma indistinto che ottunde e martella sempre. Figlio dell’obbligo al consumo – le scene del supermercato durante il film fanno da interpunzione – questa rete da cui non si può uscire trasforma la vita dei Gladley una simulazione depressa, dove l’unica scarica può essere trovata nell’eccitazione della morte. O nella paura di morire.

E’ infatti per la paura di morire che Babette, da mesi, si prostituisce con uno sconosciuto indossando un passamontagna: per una droga che toglie la paura di morire. Quando Jack lo scopre è furioso e decide di andare dal pusher misterioso. Lo vediamo sospeso tra il desiderio di sparargli e quello di usare anche lui la droga.

Senza svelare il finale del film, che va poi oltre: con il pusher si sparano come due pistoleri. Vediamo morire all’unisono marito, moglie e uomo misterioso. Ma è una pistola giocattolo, un effetto speciale di quella stessa vita…

E qui abbiamo l’apertura del primo Festival di Venezia dopo lo “stato d’eccezione” del Covid.

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