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Draghi continui a indicare la via al Paese. Parla Sensi (Pd)

Il discorso di Putin è “un segnale manifesto di debolezza davanti al successo della controffensiva ucraina”, dice il deputato dem. In vista del voto: “Non è mai successo in Italia che un partito della destra estrema potesse ambire alla guida del governo”. Sul presidente del Consiglio: “Ci ha fatto riassaporare il gusto antico della parola data. Per questo, starei su quello che dice lui. Certo…”

Oggi il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione parziale, sostenuto i referendum convocato dalle autorità filorusse in Ucraina e accusato l’Occidente di “ricatto nucleare”.

Filippo Sensi, segretario della commissione Politiche dell’Unione europea alla Camera e candidato al Senato per il Partito democratico, come valuta il discorso di Putin?

Mi pare un segnale manifesto di debolezza davanti al successo della controffensiva ucraina, oltreché il tentativo di intervenire all’Assemblea generale delle Nazioni Unite da remoto con una retorica fatta di provocazioni e falsità che conosciamo ormai purtroppo da alcuni mesi. Putin sembra oggi un uomo in gabbia e il suo messaggio ha sortito l’effetto opposto a quello desiderato dimostrando una crescente difficoltà agitando misure scotte come l’annessione, la mobilitazione e la minaccia nucleare.

È una minaccia che suona come una nuova scommessa sulle divisioni dell’Occidente?

L’unità dell’Unione europea è stata evidente dell’inizio dell’invasione e la controffensiva ucraina e la crescente difficoltà russa sono motivi per continuare in questa direzione sulle sanzioni, sul sostegno a Kyiv e di fronte alle minacce e alle intimidazioni di Mosca. Putin aveva scommesso sulle nostre divisioni, foraggiandole e coltivandole per anni con tutto il suo armamentario fatto di digitale, soldi, influenza e tutto il resto. Con l’aggressione dell’Ucraina ha però trovato davanti a sé un sistema occidentale unito. Certo, un caveat c’è.

Quale?

Un uomo solo, ferito e sconfitto come sembra essere oggi Putin può essere anche un uomo capace di tutto. Basti pensare a quanto detto sul nucleare, che “questo non è un bluff”. Non conosciamo bene il pensiero del Cremlino oggi. Sappiamo che si agita qualcosa all’interno del Paese ma non sappiamo quali contromisure possa mettere in campo un uomo sconfitto.

Davanti a questo scenario internazionale crede che le elezioni di domenica siano uno spartiacque?

Diffido in genere dell’enfasi che i partiti mettono sugli appuntamenti elettorali. Ma, fatta questa premessa, è vero che nella storia repubblicana ci sono state elezioni che hanno segnato un prima e un dopo per il Paese. Il 25 settembre è una di quelle elezioni. Non è mai successo in Italia che un partito della destra estrema potesse ambire alla guida del governo, addirittura a Palazzo Chigi. Non siamo davanti alla rivoluzione cosiddetta liberale di Silvio Berlusconi o alla Lega degli amministratori del Nord fermata con la hybris dei pieni poteri in spiaggia. Fratelli d’Italia è un partito che viene da una storia tecnicamente post-fascista la cui recente trasformazione non è ancora chiara.

Segnerà un prima e un dopo anche per l’Europa?

Certo, ma non perché l’Europa ci guarda come se fosse una giuria di qualità. L’Europa è il nostro spazio, è casa nostra, è la famiglia in cui viviamo. L’Italia rischia di presentarsi in questa casa comune con un partito che è una combinazione tra il peggio di una forza di destra estrema e il peggio dei grillini quanto a inesperienza e inadeguatezza.

Il Partito democratico è in maggioranza dal 2011 (governo Monti) con un piccolo intermezzo all’opposizione ai tempi del governo Conte I. Nonostante la sua vocazione di governo, il Partito democratico sarebbe pronto a tornare all’opposizione?

Lo decideranno gli italiani. Che il Partito democratico abbia una vocazione di governo non mi pare una cosa elitaria e spregiudicata. Piuttosto, significa cercare di fare accadere le cose, avere la possibilità di cambiarle. Che un partito ambisca a governare non è cupidigia legata alla gestione del potere. Il governo è lo strumento principe per realizzare le cose che chiedono i cittadini.

All’inizio della campagna elettorale i partiti si strappavano di mano l’agenda Draghi. Ora è stata archiviata da tutti, tranne Azione-Italia Viva. Lei considera chiusa l’esperienza di governo di Mario Draghi?

Va precisato innanzitutto che chi ha abbattuto l’esperienza di governo Draghi, che il Partito democratico ha sostenuto con responsabilità, ha nomi e cognomi. Quel percorso virtuoso è stato interrotto dalla ditta populista, caduto per una combinazione tra il cinismo e la spregiudicatezza di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle e la cupidigia della Lega e di Fratelli d’Italia. Draghi ci ha fatto riassaporare il gusto antico della parola data. Per questo, starei su quello che dice lui. Certo, avendo apprezzato il suo operato in tutti i ruoli, compreso l’ultimo a Palazzo Chigi, spero che i suoi impegno, serietà e autorevolezza possano continuare a indicare la via al Paese e fare da scudo ai possibili rovesci che la vittoria di una destra così sgangherata potrebbe causare.


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