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I fondi congelati rientrano in Afghanistan

La Bank for International Settlements si occuperà della gestione dei fondi afghani congelati dopo il ritiro della coalizione Nato dal Kabul. Un risultato di compromesso che dovrebbe portare un minimo di sollievo in un Afghanistan martoriato da vent’anni di guerra e una crisi alimentare tra le peggiori al mondo.

Dopo lunghi mesi di negoziati, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato il trasferimento di asset congelati a New York della Banca Centrale Afghana (Dab) per tre miliardi e mezzo di dollari in un fondo fiduciario svizzero, denominato Fondo Afghano. La mossa, descritta come un modo per portare un po’ di sollievo alla martoriata popolazione afghana, è la luce in fondo al tunnel di lunghi mesi di negoziati che vedevano il governo dei Talebani chiedere la restituzione dei sette miliardi di dollari congelati dalle istituzioni americane dopo il ritiro della coalizione Nato da Kabul. Nel Febbraio 2022 il Presidente Biden aveva autorizzato il rilascio della metà delle riserve lasciato che la metà restante proseguisse l’iter del contezioso iniziato dopo gli attacchi dell’undici settembre 2001.

Durante le discussioni diplomatiche, i punti di frizione erano il rifiuto dei Talebani di sostituire i vertici della Dab, alcuni dei quali sono oggetto di sanzioni Usa per terrorismo, e il loro timore che Washington creasse una sorta di banca centrale parallela al di fuori del controllo politico afghano. Altro punto caldo era la rimozione delle sanzioni finanziarie che impediscono agli operatori afghani di accedere al sistema bancario internazionale. Il regime di Kabul aveva accolto la proposta statunitense di un fondo esterno per l’erogazione degli asset molto freddamente, dichiarando che l’operazione sarebbe stata una “violazione delle norme internazionali che non tiene conto della sovranità afghana su quei fondi”. Una soluzione proposta a Doha dalla delegazione di Kabul era quella di aprire la Dab a entità terze che svolgessero attività di vigilanza anti-terrorismo e anti-riciclaggio.

Il compromesso finale, almeno per quanto riguarda questa tranche di tre miliardi e mezzo, è la creazione di un’entità con base a Ginevra, amministrata dalla Bank for International Settlements (Bis), ma controllata da un board of trustees composto rappresentanti governativi statunitensi e svizzeri, l’ex ministro delle finanze di Kabul Anwar-ul-haq, e altre figure afghane non direttamente legate al regime.

Insomma, gli Stati Uniti non possono permettere che vengano erogati fondi direttamente alla banca del regime che hanno combattuto per vent’anni, ma possono stabilire un meccanismo che dia garanzie sul come verranno spesi i soldi. Inoltre le richieste occidentali di rispetto dei diritti umani di base non sono state accolte, con il governo dei Talebani che si è limitato ad assicurare che verranno rispettati i principi della legge islamica. Appena rientrata al potere, la nuova leadership ha immediatamente chiuso tutti i programmi e le strutture di educazione femminile e reimposto regole come quella secondo cui una donna non può allontanarsi più di settanta kilometri dal luogo in cui risiede senza un parente maschio. D’altra parte non si può nemmeno lasciare al loro destino quaranta milioni di persone.

La sfida per l’amministrazione del Paese è di riuscire a compensare la perdita degli aiuti internazionali, che costituivano il settantacinque per cento delle entrate governative, interrotte nell’agosto 2021. Il quadro socioeconomico afghano è disastroso. Un’ondata di siccità ha colpito un Paese già piegato da vent’anni di guerra; secondo le Nazioni Unite la metà della popolazione, circa venti milioni di persone su quaranta, soffre di carenza di cibo. La Banca Mondiale fa notare la scarsa liquidità in circolo, sia di dollari che di valuta locale, mentre il sistema bancario è completamente paralizzato a causa dell’estromissione dai circuiti internazionali, per non parlare della corruzione endemica.

Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha affermato che la tranche erogata a Ginevra servirà a preservare la Banca Centrale Afghana, a effettuare versamenti mirati per stabilizzare l’economia, e infine a supportare la popolazione alleviando gli effetti peggiori della crisi umanitaria. Il Dipartimento del Tesoro ha poi specificato che non verranno effettuati versamenti direttamente alla Dab finché questa non sarà libera dall’influenza politica, per evitare che le risorse erogate vengano utilizzate per fini diversi da quelli di sostegno alla popolazione.

Dal canto suo la Bis ha già annunciato che sta stabilendo relazioni amichevoli con il nuovo Fondo. Le funzioni della Bis sono limitate all’erogazione di servizi bancari e all’esecuzione delle istruzioni proveniente dal consiglio di amministrazione del Fondo Afghano, senza alcun ruolo nella governance  di quest’ultimo. L’altra metà dei sette miliardi congelati rimane oggetto di un contenzioso che risale ai procedimenti contro i Talebani dopo gli attacchi dell’undici settembre 2001, ma è possibile che vengano anch’essi trasferiti nel Fondo in futuro, insieme ad altri due miliardi attualmente detenuti da banche europee ed emiratine.


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