“Istituire un’apposita collaborazione con le istituzioni finanziarie per proteggere i consumatori e costituire un fondo di crisi per affrontare l’emergenza. Sono diverse le aziende del settore che hanno dato il loro assenso all’iniziativa”, spiega il consigliere delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy
Un fondo per l’energia seguendo il modello inglese e con gli Stati Uniti al nostro fianco. È la proposta di Simone Crolla, consigliere delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy.
Come valuta l’andamento dell’anno in corso sul lato energetico?
Nord stream 1 chiuso a tempo indeterminato, un’inflazione alle stelle, e una tempesta di disagio sociale in arrivo. Erano queste le premesse del vertice europeo di venerdì 9 settembre, accompagnate della speranza di una maggior chiarezza e comunione d’intenti in un’Europa che, come ormai due anni e mezzo fa, non può che unirsi per far fronte a una crisi che rischia di diventare drammatica. Tuttavia, il rinvio di una decisione a ottobre per mancanza di consenso non è stato certamente un bel segnale da lanciare a cittadini e imprese.
Dal suo osservatorio privilegiato sui rapporti con le grandi aziende italiane e americane, come state vivendo questo periodo?
La coperta è corta, il pubblico non ha sufficienti risorse per intervenire adeguatamente. La soluzione sembra ovvia: coinvolgere i privati in una partnership virtuosa e una mission per salvare il nostro sistema imprenditoriale. Tempi eccezionali come quelli che stiamo vivendo richiedono necessariamente soluzioni fuori dall’ordinario. In tal senso, sono convinto che possiamo sempre prendere spunto dal pragmatismo anglosassone e ragionare in termini pratici. Mi ha molto colpito la recente proposta lanciata al governo britannico da Energy UK (associazione di categoria delle varie utility company inglesi) e che di fatto si è concretizzata qualche giorno fa con l’Energy Markets Financing Scheme, una misura titanica, considerando che il Tesoro e la Banca d’Inghilterra hanno deliberato risorse per 40 miliardi di sterline (46 miliardi di dollari) per garantire la liquidità alle aziende del settore. In Italia dovremmo fare lo stesso.
Come?
In sintesi: istituire un’apposita collaborazione con le istituzioni finanziarie per proteggere i consumatori per costituire un fondo di crisi per affrontare l’emergenza. Sono diverse le aziende del settore che hanno dato il loro assenso all’iniziativa. Anche in Scozia ci si è attivati in tal senso, mentre in Spagna e Portogallo l’Unione europea ha approvato apposite misure per calmierare i costi dell’energia. In Svezia, Erik Thedéen, a capo della Financial Supervisory Authority, ha lanciato l’allarme e il governo svedese introdurrà un sistema di garanzie pubbliche da decine di miliardi di euro per sostenere la liquidità delle aziende dell’energia.
Non è una proposta in controtendenza in una fase in cui, soprattutto in Italia, si parla di nazionalizzare invece che di favorire investimenti privati?
Vero, ma è necessario rendersi conto che, anche nel nostro Paese, nonostante l’approvvigionamento di gas sia stato diversificato, anche grazie all’intervento diretto del presidente del Consiglio Mario Draghi, la situazione è critica, economicamente e socialmente. Lo hanno detto a gran voce anche le associazioni di categoria di riferimento, dall’Associazione dei Reseller e Trader dell’Energia ad Assopetroli e Assoenergia, fino alle Confindustrie di Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto, secondo le quali l’extra-spesa di acquisti in energia in Italia è pari a circa 60 miliardi di euro. In realtà, il totale dei costi di elettricità e gas sostenuti dal settore industriale delle quattro regioni oscillerà tra i 36 e i 41 miliardi di euro. Un’enormità e un ulteriore peso che le nostre eccellenze non meritano di dover sopportare, non dopo le difficoltà vissute nell’ultimo biennio.
Come impostare un modello alternativo sulle orme di quello inglese?
La struttura sarebbe tutto sommata semplice: il fondo sarebbe garantito dallo Stato e alimentato da risorse fornite da banche commerciali. Queste investirebbero denaro direttamente presso tale fondo statale. I fornitori di energia potrebbero quindi attingere dal fondo medesimo per congelare le fatture dei clienti al limite di prezzo stabilito, dopo un periodo di tempo prestabilito. La dimensione del fondo dovrà essere rapportata a questo ammontare e dovrebbe dipendere dalla durata annuale o pluriennale dello stesso. Orientativamente tra i 30 e i 40 miliardi di euro. Il price cap che si andrà a fissare inciderà, per differenza, sulla dimensione stessa del fondo.
E il debito su chi ricadrebbe?
Il debito accumulato dai fornitori verrebbe ripagato dai consumatori in modo più graduale, diluito in un periodo di 10-15 anni, una volta passato il periodo d’emergenza. Ciò proteggerebbe i consumatori da un immediato aumento dei prezzi, impedendo al contempo fallimenti da parte dei fornitori.
E l’America come si pone in quest’ottica?
Gli Stati Uniti sono sempre al nostro fianco. Come testimoniato dal nostro Covid Corporate Aid Tracker elaborato nel corso del 2020, gli Stati Uniti sono stati accanto all’Italia sin dall’inizio della pandemia, grazie alla generosità delle aziende americane che hanno donato oltre 50 milioni di euro in aiuti nel corso dell’emergenza, nonché grazie all’Amministrazione americana e al memorandum che ha permesso all’Italia di beneficiare di 100 milioni di dollari in aiuti economici e sanitari. Anche in questa emergenza, saranno al nostro fianco.