Il partito di Giorgia Meloni s’ispira “a una visione della società, dell’economia e dei rapporti internazionali legata a movimenti e partiti del mondo conservatore e liberale euro-occidentale”, spiega l’ambasciatore, candidato al Senato. Dall’Ue alla Russia, dalla Cina all’Iran, ecco la sua politica estera
Giulio Terzi di Sant’Agata, 76 anni di cui 40 di carriera diplomatica, è stato ambasciatore in Israele, rappresentante permanente alle Nazioni Unite, ambasciatore negli Stati Uniti e ministro degli Esteri nel governo Monti. Ora è in politica, al fianco di Giorgia Meloni, da responsabile dei rapporti diplomatici di Fratelli d’Italia e candidato al Senato della Circoscrizione Bergamo-Brescia.
Da candidato di Fratelli d’Italia al Senato, qual è la sua visione del rapporto con gli Stati Uniti del presidente Joe Biden?
Fratelli d’Italia è un partito che appartiene a un’area di conservatorismo liberale, al Parlamento europeo è iscritto al gruppo dei Conservatori e riformisti, presieduto da Giorgia Meloni, e s’ispira a una visione della società, dell’economia e dei rapporti internazionali legata a movimenti e partiti del mondo conservatore e liberale euro-occidentale. Ciò premesso, per quanto concerne la politica estera italiana gli Stati Uniti rappresentano – fin dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ai nostri giorni – un riferimento essenziale per i valori condivisi che riguardano lo stato di diritto, la libertà, l’economia e la società nel suo insieme. Questo solido riferimento non muterà neppure in futuro, ne sono certissimo.
Fratelli d’Italia è atlantista. Ma qual è l’approccio verso l’Unione europea, in questa fase in cui si discute di una possibile riforma?
Se guardiamo alla sicurezza, atlantismo ed europeismo, nella visione di un partito come Fratelli d’Italia, sono due dimensioni strettamente correlate. Pensiamo all’industria della difesa e alle centinaia di diversi prodotti che dovrebbero ridursi in prospettiva a poche tipologie di armi integrate. Questa integrazione renderebbe più forti i Paesi europei, anche se i singoli contributi che le nazioni europee destinano alla difesa dovranno lievitare in modo significativo (Italia e Germania, per esempio, contribuiscono con la metà della percentuale di Pil che era stato concordata). Questi sforzi in ogni caso sono di natura politica, prima ancora che finanziaria: la verità è che la scarsa attenzione alla difesa da parte di noi europei è stato un errore politico madornale, se consideriamo lo scenario internazionale purtroppo sempre più teso nel quale siamo inseriti. L’integrazione delle strutture della difesa è un percorso comune europeo ineludibile, pur solidamente inserito come parte dell’Alleanza Atlantica, ma il tempo perso va rapidamente recuperato.
Tema in cima all’agenda politica e priorità per i cittadini è la questione energetica. Tra un’azione europea e una nazionale, quale delle due intraprendere?
Dall’applicazione delle sanzioni a quanto avvenuto per difendere i cittadini europei, all’evolversi dell’aggressione della Crimea con le armi fino all’aggressione con l’arma dell’energia al resto d’Europa, c’è sempre stata una costante e continua concertazione fra i Paesi europei. Da quelli più colpiti dalla mancata fornitura russa petrolifera a quelli meno colpiti – grazie alla quota nucleare – come la Francia, c’è sempre stata una concertazione che in questi ultimi giorni è dimostrata anche dalla convocazione del Consiglio europeo per l’Energia. La coesione europea sta dunque crescendo, su questo tema: le esitazioni di Francia e Germania sono state superate e i Paesi marciano compatti, secondo una linea che il governo italiano aveva addirittura anticipato con la lungimirante richiesta del price-cap già dallo scorso marzo. Andare da soli non è un’ipotesi. Vorrebbe dire, per ogni singola nazione, tornare inevitabilmente a comprare il gas russo. Non è immaginabile, proprio quando seppure con fatica e sacrifici di azienda e famiglie – che dovranno certamente trovare ristoro con un incisiva azione del nuovo governo – la coesione europea sta invece spuntando le armi di Putin.
Il caro bollette è legato alla guerra in Ucraina. Una domanda al diplomatico: quando e a quali condizioni le due parti potranno lavorare su un’iniziativa negoziale concreta?
A me risulta sia Putin che non ha alcuna intenzione di negoziare con noi, per ora, è una realtà: ha sempre detto nyet.
Come mai?
Perché non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi. Lui per tradizione negozia solo quando si è preso tutto ciò che voleva, ma forse si sta rendendo conto che – quando ciò che è messo in discussione è lo spazio di libertà e di sicurezza europeo – il “boccone” è troppo grande anche per lui.
L’Italia che ruolo può svolgere in questo scenario?
L’Italia, come la Francia e la Germania svolge un ruolo d’azione, sollecitazione, e di spiegazione all’opinione pubblica mondiale di una narrativa che deve essere diffusa: ovvero, di quali siano le reali questioni legate alla guerra in Ucraina, che è poi diventata guerra contro l’Europa, con il tema – dominante – dell’energia. L’energia infatti è un’arma, e attualmente viene utilizzata contro l’Unione europea. Il nostro sforzo, di italiani ed europei, dev’essere quello di lavorare affinché la coesione e la visione politica profonda e determinata di tutto il mondo euro-occidentale venga consolidata. Ci sono Paesi che rischiano una grave crisi alimentare, se continuerà questa situazione e se non verranno riaperti i porti ucraini. Lo sforzo dunque della diplomazia italiana deve essere quello di agire con i partner europei e atlantici affinché essi si mantengano dalla parte giusta della storia. Davanti a un aggressore che non vuole negoziare sin che non ha raggiunto tutti i propri obiettivi neo-imperialisti, l’unico modo per sedersi a negoziare, è frapporsi al raggiungimento di quegli obiettivi.
Parliamo di Cina. Il memorandum sulla Via della Seta firmato nel marzo 2019 prevede che l’intesa tra Italia e Cina venga automaticamente prorogata ogni cinque anni, salvo che una parte “vi ponga termine dandone un preavviso scritto di almeno tre mesi all’altra”. Se Fratelli d’Italia dovesse essere al governo tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, che cosa farebbe?
Il primo governo Conte, ma anche il secondo, ha creato un vulnus alla sovranità italiana di proporzioni enormi sul piano politico, innanzitutto perché ha aderito ad una serie di richieste atte a diffondere in molti contesti televisivi ed editoriali, durante la pandemia Covid-19, la disinformazione del Partito comunista cinese, contribuendo ad affermare la propaganda di Pechino: abbiamo tutti seguito visto la vicenda dell’Organizzazione mondiale della sanità, dove la posizione dell’Italia in realtà favoriva la diffusione delle teorie cinesi finalizzate ad occultare le vere responsabilità della pandemia e minimizzandone i rischi. Mi è stato fatto notare da importanti interlocutori stranieri di primari Paesi europei il vero e proprio sconcerto che ha creato la nostra partecipazione alle riunioni ristrette con i sostenitori della Via della seta con la Cina, e il fatto che siamo stati i primi ad aderirvi, memorandum che ha una portata sia commerciale che militare. E poi le collaborazioni scientifiche nel settore spaziale, e le difese abbassate in ambito cyber, e la strada spianata per il controllo dei nostri porti. Tutte queste cose, e molto altro ancora, sono contenute in un Memorandum che non è neppure passato al vaglio degli organi dell’Unione europea. Non voglio neanche prendere in considerazione che al momento della scadenza non ci sia una revisione approfondita e una stretta consultazione con i partner europei ed atlantici, al fine di riequilibrare i pesi con Pechino.
Uno dei temi di cui si è occupato maggiormente negli anni è la difesa delle libertà e la sfida delle autocrazie. Oggi l’attenzione internazionale è orientata verso Taiwan, con la Repubblica popolare cinese che continua a minacciare quella che definisce “riunificazione”, a qualsiasi costo. Gli Stati Uniti stanno spostando il loro impegno militare verso l’Indo-Pacifico. L’Italia dovrebbe seguirli o rischierebbe soltanto di lasciare scoperto il fianco Sud della Nato?
Ci sono diverse considerazioni da fare su questo. La prima, è la posizione generale nei rapporti con Paesi che non sono retti dallo stato di diritto, in diversi di questi tra le libertà soppresse c’è – per esempio – la libertà di religione, di pluralismo politico, d’informazione. Questo è un tema che riguarda l’Italia e l’Unione europea. Credo che il primo punto da chiarire è che quando a livello europeo o a livello nazionale s’incontrano governi che hanno in corso da decenni con noi rapporti diplomatici, non si può giustificare il “restare in silenzio”. Perché da parte di questi Paesi non si tace per nulla: loro criticano continuamente e a gran voce le nostre libertà e il nostro modello di vita, e pongono evidenti questioni di principio. A volte in modo garbato, altre volte no. Purtroppo molto spesso, per scialbe convenienze di breve termine, qualcuno non mette al centro questi temi, e questo in realtà non porta nessun vantaggio. Non è che così facendo vendiamo più automobili o alimentari in quei Paesi: siamo, semplicemente, meno credibili.
Altro tema al centro del suo impegno politico, da tempo, è l’Iran. Continuano le trattative per il ripristino dell’accordo nucleare Jcpoa. Teheran suggerisce che un ritorno sul mercato del proprio gas e del proprio petrolio potrebbero aiutare l’Unione europea. È un buon affare?
È un pessimo affare. Perché anche qui il ricatto sull’energia è un ricatto terroristico. Basti ricordare che abbiamo testimonianza di reti terroristiche iraniane in Europa coordinate da un diplomatico terrorista residente a Vienna nel 2018, che ha tentato di colpire un congresso con presenti decine di migliaia di persone, andando con dei complici a mettere una bomba nella hall dell’entro congressi che ospitava l’evento. Erano presenti delegazioni istituzionali e politiche di 60 Paesi, tra cui anche l’Italia: sarebbe stata una strage. È stato un caso eclatante, peraltro non l’unico, visto che in passato ci sono stati casi per esempio di sequestro di personalità occidentali di spicco, del tutto innocenti, per ottenere, in cambio, la liberazione di prigionieri iraniani detenuti in occidente. Pensare di fare accordi sull’energia con un Paese come l’Iran è davvero pericoloso. Inoltre, l’Iran minaccia una radicalizzazione politica in senso antisemita, promuove attivamente l’antisemitismo, arriva a negare l’Olocausto, è questo è totalmente inaccettabile. Il governo iraniano è fonte di innumerevoli problemi, e la fermezza verso la sua leadership teocratica deve essere uno dei pilastri delle politiche internazionali di qualsiasi Paese civile.