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O l’Europa o Orbán, Meloni deve decidere. Parla Amendola (Pd)

Il sottosegretario, capolista del Partito Democratico in Basilicata: “Oggi siamo l’unica grande forza politica italiana a non aver mai avuto sbandamenti su europeismo e atlantismo. Altri, nonostante la guerra in Ucraina, non riescono a condannare Putin”

Una delle caratteristiche del governo di Mario Draghi è l’impegno a essere “convintamente europeista e atlantista”, come aveva spiegato lo stesso presidente del Consiglio presentandosi alle Camere nel febbraio dell’anno scorso. Dell’esecutivo Vincenzo Amendola, candidato capolista del Partito democratico in Basilicata, è sottosegretario agli Affari europei.

Si tratta di un’eredità ora a rischio o è ormai un dato acquisito?

Europeismo e atlantismo sono i pilastri della nostra storia democratica, da affermare con forza maggiore dopo l’aggressione russa nel cuore del continente. Oggi il Pd è l’unica grande forza politica italiana a non aver mai avuto sbandamenti su questo tema. Siamo contenti di aver facilitato l’evoluzione del pensiero di altri movimenti sulla questione, ma, come dicevano i costituenti, la libertà va difesa ogni giorno. Ci sono ancora partiti che, nonostante la guerra in Ucraina, non riescono a condannare Vladimir Putin e il suo credo nelle “democrazie illiberali”.

Ritiene che la modifica del Pnrr proposta dalla coalizione di centrodestra possa rappresentare un rischio per il Paese?

Ritengo a ragion veduta, con i regolamenti alla mano, che modificare il Pnrr rappresenti un rischio reale per il nostro Paese. I miliardi di finanziamenti europei garantiti all’Italia con il Recovery sono frutto di un accordo raggiunto con mesi di trattative e negoziati. Ridiscuterlo significa perdere tempo prezioso e saltare le prossime rate di investimenti, con un risultato tutto da vedere. Per essere chiari: dovremmo riavviare la discussione con la Commissione europea, poi il Piano andrebbe cambiato e approvato con il placet dei 27. Un conto è la campagna elettorale, un altro è l’interesse nazionale. Se guardiamo alle emergenze, andiamo avanti per la strada intrapresa e usiamo al meglio le risorse guadagnate, impiegandole da subito in servizi pubblici, lavoro e transizione ecologica.

La cosiddetta agenda Draghi era il tema politico per eccellenza nei giorni dopo lo scioglimento delle Camere. Che cosa ne rimane oggi?

Agenda Draghi vuol dire avere un “metodo” fatto di buon governo, rispetto dei tempi e delle procedure, rigore nella spesa. L’ha sottolineato lo stesso presidente del Consiglio, dopo di lui al Paese rimangono una regola e uno stile di governo improntati sulla sobrietà e sul pragmatismo. Anche qui, mi pare che il Pd sia l’interprete migliore di questo atteggiamento che ha sterilizzato gli slogan populisti e sovranisti.

Qual è il vostro rapporto con il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte?

Con il M5S abbiamo lavorato bene durante il governo Conte II, ma è evidente che la scelta di far cadere l’esecutivo guidato da Mario Draghi abbia segnato la rottura di un percorso comune che, ritengo, abbia fatto bene all’Italia. Credo che vada chiesto a Giuseppe Conte quale sia il suo rapporto con noi. Il Pd è sempre stato lineare è chiaro: alle azioni corrispondono conseguenze.

Qual è il futuro del riformismo all’interno del Partito democratico?

Il riformismo è il cuore del Pd, nato proprio per portare avanti in Italia un percorso capace di unire tradizioni culturali differenti ma convergenti negli obiettivi da raggiungere. La nostra storia nasce con l’Ulivo di Romano Prodi. Mi sento di ribadire quello che affermò Enrico Letta quando venne eletto segretario, vale a dire che “dobbiamo essere progressisti nei valori, riformisti nel metodo e radicali nei nostri comportamenti”. Questa è l’anima del Partito democratico e non va tradita.

Condivide le accuse di fascismo rivolte a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia?

Giorgia Meloni deve scegliere se è quella che arringa il popolo di Vox, l’ultradestra spagnola, che è spesso d’accordo con Marine Le Pen, che auspica la collaborazione con Fidesz, il partito di Viktor Orbán, oppure se è quella che ora prova a rassicurare l’Europa e i mercati. Quando ci si candida a governare un Paese, la propaganda, le parole urlate servono a poco. Servono serietà e rigore. È in gioco il futuro di tutta l’Italia.

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