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Parte il dialogo tech Usa-Israele. Cina terzo incomodo

Biden Lapid

Già dai tempi di Trump, Washington esprime preoccupazione per gli investimenti di Pechino nelle tecnologie critiche ed emergenti. Con Biden e Lapid qualcosa è cambiato. Si lavora su “ecosistemi affidabili”

Mercoledì, Stati Uniti e Israele hanno lanciato il loro dialogo strategico di alto livello sulla cooperazione tecnologia. Una delegazione è partita da Gerusalemme per raggiungere Washington. A guidarla Orit Farkash-Hacohen, ministro dell’Innovazione, ed Eyal Hulata, consigliere per la sicurezza nazionale con un passato di oltre vent’anni nel Mossad, durante i quali ha diretto anche la divisione tecnologia. Presente per gli Stati Uniti Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale, Andrea Palm e David Turk, vicesegretari rispettivamente alla Salute e all’Energia, oltre a diversi alti funzionali dell’Office of Science and Technology Policy della Casa Bianca.

L’iniziativa riguarda le tecnologie critiche ed emergenti (come l’intelligenza artificiale e l’informatica quantistica – settore, quest’ultimo, a cui Israele si sta avvicinando rapidamente) e in settori di interesse globale come le pandemie, i cambiamenti climatici e la sicurezza alimentare. Rientra nel contesto della Dichiarazione di Gerusalemme firmata a luglio dal presidente statunitense Joe Biden e dal primo ministro israeliano Yair Lapid. Israele è uno dei pochi Paesi considerati dagli Stati Uniti un partner strategico nel campo della tecnologia. Soltanto India, Giappone e Corea del Sud hanno un formato di discussione simile con gli Stati Uniti.

L’obiettivo dell’incontro era di “raggiungere intese e costruire meccanismi di cooperazione concreta che consentano di potenziare la cooperazione tecnologica tra i Paesi nel breve termine”, si legge in una dichiarazione del governo israeliano.

Come ricordato da Axios.com, negli Stati Uniti c’è forte preoccupazione – sia per la sicurezza sia per l’economia – per il ruolo della Cina nel settore tecnologico israeliano. L’amministrazione Trump aveva iniziato a fare pressione su Israele su questo tema, ma sbattendo contro il muro alzato dall’allora primo ministro Benjamin Netanyahu, impegnato in passato a rafforzare i legami economici con Pechino. Ma con l’amministrazione Biden, il nuovo governo israeliano – prima con Naftali Bennett poi con Yair Lapid – ha iniziato a porre maggiore attenzioni aspetti.

Nella dichiarazione di luglio si parla di “ecosistemi tecnologici affidabili”, formula che nasconde il principale obiettivo del dialogo: proteggere la tecnologia sensibile dalla Cina. Infatti, l’accordo impegna i due Paesi ad “aumentare il coordinamento sulla sicurezza della ricerca, sullo screening degli investimenti e sui controlli delle esportazioni, nonché sugli investimenti tecnologici e sulle strategie di protezione per le tecnologie critiche ed emergenti”. Durante un briefing, Hulata ha dichiarato che Israele condivide le preoccupazioni degli Stati Uniti, riporta Axios.com. “Non si tratta solo di controlli sulle esportazioni, ma anche di prevenire l’abuso di tecnologia da parte di attori malevoli”, ha detto. Non ha citato la Cina, ma ha detto che i timori dell’amministrazione Biden sono un’opportunità per Israele di rafforzare la cooperazione con il governo statunitense.

Per oltre vent’anni, dall’11 settembre 2001, la cooperazione tra Israele e Stati Uniti è stata definita dalla guerra globale al terrorismo. Oggi, però, la competizione tra grandi potenze ha spostato il fronte sulla sfera tecnologica e, di conseguenza, la cooperazione tra Washington e Gerusalemme ha richiesto alcuni adattamenti. Infatti, come ha riportato Al Monitor, la distanza tra Stati Uniti e Israele nel campo della collaborazione tecnologica è notevole. La ragione sta nella prudenza statunitense. “Non sono disposti a lavorare con chi non aderisce completamente alle loro richieste di sicurezza”, ha dichiarato ad Al-Monitor un membro alla delegazione israeliana in visita a Washington. Una questione che peserà anche sul futuro del dialogo.

Per gli Stati Uniti, uno dei principali (se non il principale) obiettivi di permanenza strategica nella regione mediorientale è collegato al confronto con la Cina. Washington vuole evitare che Pechino diventi la potenza di riferimento nella regione anche attraverso la diffusione di prodotti hi-tech, che per quei Paesi sono necessari (per spingere lo sviluppo, per accontentare le richieste di digitalizzazioni che le collettività chiedono a governi e regnanti.

Qualcosa del genere si è visto anche con l’Arabia Saudita, con cui l’amministrazione Biden ha recentemente sottoscritto un memorandum di intesa sulla tecnologia a interfacce aperte per il 5G e 6G saudita con cui sfidare la diffusione di Huawei. Uno degli scopi di questi accordi è anche evitare che la presenza diffusa (tecnologicamente affidabile ed economicamente valida) costruisca standard operativi difficilmente penetrabili e irreversibili.

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