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Tra gli scossoni di guerra ed elezioni, il legame transatlantico resta forte

Resta forte l’alleanza dell’Italia con l’alleato americano, ma non mancano preoccupazioni per gli sviluppi della guerra in Ucraina e la necessità di un maggiore impegno nell’area mediterranea. Questi e molti altri i temi trattati durante la conferenza alla John Cabot University con ospiti internazionali

Martedì 20 settembre si è tenuto presso la John Cabot University un seminario dal titolo “Italy, United States and the New Transatlantic Moment” incentrato sul peculiare momento internazionale che stiamo vivendo e sulle relazioni tra l’Italia e l’alleato statunitense. I temi hanno spaziato dal ruolo dell’Alleanza Atlantica, alle esigenze di democrazia nel mondo, dalle percezioni italiane e americane, alle responsabilità di Roma nel Mediterraneo.

La rinascita della Nato

Ha aperto i lavori Joe Donnelly, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, che ha evidenziato come la guerra che stiamo vedendo in questi giorni sia la manifestazione di una differenza di vedute sui princìpi che dovrebbero essere alla base dell’ordine internazionale. Le democrazie liberali sorte in Europa dopo la seconda guerra mondiale hanno visto contrapporsi il blocco autoritario dei Paesi dell’Est. Quel momento storico ha portato pace e prosperità negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale, elementi che sono oggi minacciati da potenze revisioniste. L’ambasciatore ha ricordato che la Nato è stata l’alleanza che ha permesso quel periodo di pace e che ha mantenuto la stabilità nell’ordine mondiale e che oggi il gruppo dei Paesi Nato si trova a essere legato in un vincolo di solidarietà dall’articolo 5 del Trattato. La stessa Alleanza si trova oggi ad accogliere i prossimi membri Svezia e Finlandia, ed è successo l’opposto di quanto il Cremlino aveva previsto nei propri calcoli strategici, ovvero lo sgretolamento dell’Alleanza.

Il rilancio del multilateralismo

Ha proseguito il discorso l’ambasciatore Pasquale Terracciano, direttore generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale alla Farnesina, sostenendo che l’idea russa che l’occidente non avrebbe reagito all’invasione sia il frutto della propria stessa propaganda che ha battuto per anni sulla disunità del fronte atlantico. L’ambasciatore si è  poi concentrato su come la differenza valoriale tra l’Occidente e il governo russo si sostanzi anche nel modo di condurre la diplomazia, con l’esempio della public diplomacy contrapposta alla diplomazia elitaria delle dittature. Ha ripreso qui il discorso sul soft power, l’attrazione politica che il campo occidentale è in grado di esercitare sul resto del mondo. Tra le proposte concrete, ha ricordato che la diplomazia italiana sta conducendo pressioni perché gli organi delle Nazioni Unite siano riformati, in particolare il Consiglio di Sicurezza, in maniera da garantire maggiore coerenza con lo scenario internazionale attuale e rilanciare il ruolo della diplomazia multilaterale.

Il bisogno di democrazia

La seconda parte dell’incontro ha  visto come ospiti il professore Mario Del Pero, docente di storia internazionale a Sciences Po Parigi, e Erik Jones, direttore del Robert Schuman Centre for Advanced Studies. Entrambi i panelist si sono concentrati sulla mancanza di interesse occidentale verso la domanda di democraticizzazione che l’Ucraina mostrava intorno al 2008. A loro parere sarebbe necessario innescare un serio dibattito sul funzionamento delle istituzioni democratiche, su come potenziare l’inclusività, come si fa nell’Unione Europea e andrebbe fatto nel resto del mondo democratico. Secondo loro, Putin appare molto più preoccupato dall’opposizione interna al suo regime, che non dalla Nato o dagli Stati Uniti, a giudicare dalle politiche domestiche verso i partiti politici, la libertà di stampa, e la propaganda sulla storia della nazione russa.

La percezione statunitense

L’altro grande tema toccato durante la conferenza è stato quello di come sia percepito il legame transatlantico da parte statunitense. Il punto è piuttosto dolente, nel senso che se la classe politica d’oltreoceano è conscia della necessità di mantenere lo speciale legame con l’Italia, il cittadino medio non è nemmeno consapevole dell’esistenza di questo legame. Questo elemento rende spesso difficile a politici statunitensi spiegare al proprio elettorato quali siano i vantaggi derivanti da una postura internazionale di guida del mondo (quantomeno quello occidentale). Senza contare il fatto che alcune amministrazioni a Washington hanno scientemente eroso la propria missione di leadership globale. Attualmente la principale preoccupazione statunitense è il contenimento della Repubblica Popolare Cinese, e questo naturalmente distrae attenzione e risorse dal fianco Est della Nato.

La prospettiva italiana

Loredana Teodorescu, Presidente di Women in International Security, si è concentrata sul fatto che le relazioni transatlantiche non sono mai state messe in discussione da nessun governo italiano dal dopoguerra in avanti, anche se hanno subito attacchi dai partiti populisti. A testimonianza della solida relazione con il partner statunitense vi è anche la recente professione di atlantismo di Giorgia Meloni,  fino a poco tempo fa una dei leader più critici nei confronti della politica estera americana nel nostro continente. Il principale punto di forza italiano è probabilmente proprio questo essere sempre stati alleati di Washington, anche su dossier sui quali altri paesi europei esprimevano divergenze di vedute, come ad esempio quello iracheno nel 2003.

I timori europei

La dottoressa Cynthia Salloum, del Nato Defense College, ha fatto notare come la vulnerabilità europea di fronte alla minaccia russo/sovietica esista dalla Guerra Fredda, con la differenza che oggi non ci sono centinaia di migliaia di soldati americani presenti sul suolo europeo, e che i paesi dell’area nutrono paure sul fatto Washington potrebbe essere distratta dalle questioni nel quadrante del Pacifico. L’analista si è poi soffermata su come la guerra in Ucraina possa essere letta positivamente come l’elemento che ha spinto finalmente i partner europei a unire gli sforzi verso una politica estera e di difesa comune, ricordando il peculiare esempio del riarmo tedesco. A suo parere l’Unione Europea ha però uno scarso ruolo nel mediare la questione Ucraina visto che la Russia non riconosce Bruxelles come un interlocutore e vuole invece rivolgersi agli Stati Uniti, motivo per cui sarà Washington a doversi occupare del dossier.

L’approccio italiano alla sicurezza

Secondo Salloum, l’Italia non può esimersi dall’assumersi responsabilità nell’area del Mediterraneo allargato e gli sforzi devono essere orientati all’elaborazione di una politica estera comune con Francia e Germania. A questo proposito l’avvicinamento di Draghi e Macron sui temi del Nord Africa verrà probabilmente ricordato come una parentesi, soprattutto se a Roma si insedierà un governo di destra dopo le prossime elezioni. La panelist ha ricordato che non possiamo delegare alla Nato compiti che non le sono propri, come appunto l’area Mena (Middle East and Northern Africa) e il Sahel. Da qui discende anche un discorso di problemi di fiducia all’interno dell’Alleanza Atlantica, esemplificati dal non avere dato retta ai segnali di avvertimento di Washington a proposito dell’imminente attacco russo in Ucraina.

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