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La Polonia batte cassa e presenta il conto a Berlino

Di Giulia Gigante

Il partito di Jarosław Kaczyński rivendica 1.320 miliardi di euro da Berlino a titolo di riparazioni di guerra, mentre il governo di Mateusz Morawiecki deve far fronte al muso duro di Bruxelles, alla leadership ingombrante di Donald Tusk, alla crisi energetica, al mantenimento degli equilibri interni al Gruppo di Visegrad, a non deludere gli americani dopo il riavvicinamento a Viktor Orbán. Lo scenario pre-elettorale in Polonia

Varsavia non dimentica. Il partito Diritto e Giustizia fa della memoria storica un cavallo di battaglia per una contronarrazione da proporre al prossimo appuntamento elettorale. Una pletora di nemici da debellare (la Russia putiniana) e “alleati avversi” (la Germania in primis) che bisogna tenere a debita distanza per mantenere la sovranità dell’aquila bianca.

Ebbene sì, i fantasmi della storia sono tutt’altro che estinti. La scenografia continentale che si staglia sullo sfondo della campagna elettorale è la seguente: i fondi europei per il KPO (Piano Nazionale di Ricostruzione) restano in bilico, la pretesa polacca di esigere da Berlino 1.320 miliardi di euro a titolo di riparazioni di guerra, il blocco prematuro dell’importazione di carbone dalla Russia, la proposta da parte degli Usa in merito alla costruzione di un impianto nucleare sul suolo polacco, il ripristino della cooperazione tra Polonia e Ungheria rilanciato dal Premier Morawiecki dopo lo strappo avvenuto con Orbàn per via dei legami economici che i magiari continuano a mantenere con Mosca a seguito dell’invasione dell’Ucraina.

Dunque, il PiS definisce i temi da offrire al proprio elettorato e rimodella l’agenda governativa traendo spunto dai mutamenti che avvengono sul piano delle relazioni internazionali. Sostanzialmente, la campagna elettorale promossa da Jarosław Kaczyński non si discosta molto dall’atteggiamento assunto a inizio legislatura, poiché tende a far leva sulla dicotomia amico-nemico, premurandosi di compattare lo spirito nazionale attorno alla difesa dello stato polacco da interferenze e diktat esterni, e di zigzagare con cautela tra gli alleati di Visegrad e i conservatori europei, tra l’assoluta devozione allo Zio Sam e la difficoltà di sorvolare sull’occhiolino orbaniano strizzato al Cremlino.

Un susseguirsi di equilibrismi e proclami radicali che acuiscono l’antagonismo e la polarizzazione delle forze politiche al Sejm, nonostante la frammentazione e le divergenze ontologiche maturate in seno al fronte d’opposizione. Ma le contraddizioni che emergono rischiano di depotenziare la trama sovranista.

In merito allo stallo del dialogo con Bruxelles, l’eurodeputato del partito repubblicano (una fazione pro-Diritto e Giustizia e anti-Gowin)  Adam Bielan afferma: “Abbiamo soddisfatto tutte le condizioni, siamo in costante contatto con le nostre controparti a Bruxelles, nella Commissione europea, e già da diverse settimane ci dicono che ora abbiamo bisogno del via libera della Presidente von der Leyen. Conto ancora su un lieto fine di questa vicenda, anche se ovviamente non ho dubbi che Ursula von der Leyen, come ha detto pubblicamente al congresso del Partito Popolare Europeo, vorrebbe vedere Donald Tusk come Primo Ministro. Così come i commissari europei vorrebbero in gran parte assistere a un cambio di potere in Polonia dopo le elezioni. Se la Polonia non riceverà i fondi KPO, questi saranno bloccati fino alla fase post-elettorale, come d’altronde auspicano Radosław Sikorski e altri politici dell’opposizione”.

La replica arriva da Aleksander Hall, il quale fornisce un punto prospettico diverso, sottolineando che “alla luce delle sfide del mondo moderno, in particolare della politica aggressiva della Russia, l’Unione Europea dovrebbe consolidarsi e avere l’ambizione di diventare una potenza mondiale a tutti gli effetti. La politica del governo polacco si muove nella direzione opposta. Diffonde lo slogan della difesa della sovranità del Paese contro le tentazioni di Bruxelles e Berlino, mentre il suo obiettivo è ottenere il désinterressement dell’UE per le violazioni dell’ordine costituzionale polacco da parte del PiS e, in particolare, dell’indipendenza della magistratura. Il PiS sta così commettendo uno dei più gravi peccati politici: subordinare la ragion di Stato agli interessi ad hoc del partito al potere in politica interna”

A questo punto, Prawo i Sprawiedliwość riaccende l’orgoglio e l’amarezza dell’eterna umiliazione accumulata dalla Matka Polska, tentando di restaurare il rancore verso un vecchio nemico: la Germania. L’intento di Kaczynski è chiaro. Riaprire le ferite inflitte dalla Wehrmacht nella seconda guerra mondiale e criminalizzare la locomotiva d’Europa. La stima delle riparazioni è stata calcolata nell’ambito di un rapporto sfornato da una task force di 33 accademici e presieduta dal parlamentare del PiS Arkadiusz Mularczyk.

Il rapporto è stato tradotto in varie lingue e presentato ufficialmente al Castello Reale di Varsavia in occasione dell’ottantatreesimo anniversario dello scoppio del conflitto. Ma, se da una parte, questo scalda gli animi della Polonia profonda dall’altra rivela ciò che Diritto e Giustizia intende celare: un equilibrio precario all’interno della compagine di governo, un (auto)isolamento dall’arena europea, una conduzione superficiale della politica estera, un annaspare frenetico al fine di incrementare le percentuali registrate nei sondaggi e la necessità, appunto, di estrarre un diversivo per mobilitare il proprio elettorato.

Infatti, Donald Tusk bolla il racconto del PiS come una mera manovra elettorale che rischia di deteriorare ulteriormente le relazioni non solo con la Germania, ma con l’intera famiglia europea.

“L’iniziativa sui risarcimenti di guerra compare da diversi anni ogni volta che il PiS ha bisogno di costruire una narrativa politica” ha asserito il leader di Platforma Obywatelska, “La questione è considerata chiusa anche da diversi giuristi polacchi, secondo i quali la Polonia ha rinunciato alle sue rivendicazioni per i crimini e i danni tedeschi nella dichiarazione del 1953. Per di più, il negoziato per il Trattato sullo Stato finale della Germania del 1990 avrebbe potuto essere l’occasione per eventuali rivendicazioni, che però non furono presentate.

Il fulcro dello scontro dialettico e di pensiero che divide la società polacca (e che imperversa nel calderone di inflazione alle stelle, crisi energetica, rielaborazione della legge elettorale, lotta per l’egemonia dei mezzi di comunicazione e della verità storica) è sempre lo stesso: il concetto di patria e di sovranità politica. Interpretazioni eterogenee che delimitano visioni del mondo e delle cose diametralmente opposte. Norman Davies, saggista e storico britannico oltre che cultore della storia polacca, scriveva nel suo God’s Playground: “I polacchi sono soprattutto patrioti. Hanno dimostrato molte volte di essere pronti a morire per la loro patria; tuttavia, solo pochi sono pronti a lavorare per questo”.

In effetti, passato e modernità sono per la Polonia una sorta di Grenen, come il punto di incontro tra il Mar del Nord e il Baltico dove è possibile percepire la distinzione delle acque, ma non impedirne la fusione. Insomma, più che il parco giochi di Dio, come ideato da Davies, resta il luna park della storia.



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