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Il fascino delle “légendes”, storie di copertura degli agenti segreti

Di Maria Gabriella Pasqualini

L’intelligence italiana deve fare un passo avanti nella modernizzazione, organizzando ancora meglio la propria rete informativa, ricorrendo anche ai sistemi antichi sempre validi. L’intervento di Maria Gabriella Pasqualini, studiosa e docente dei servizi di sicurezza

La storia, attuale ma non troppo, di Maria Adela-Olga, spia russa che lasciò l’Italia nel 2018, ha riacceso l’interesse, anche romantico, del pubblico verso questa forma antica quasi quanto l’essere umano di spionaggio, cioè la raccolta informativa a mezzo agenti infiltrati in territorio amico e non.

Più di recente, nella storia delle due guerre mondiali, hanno agito agenti segreti sotto copertura, donne e uomini. Si trovano nei documenti desecretati di vari archivi nazionali, soprattutto di Londra e Washington. Coperture: le più svariate e fantasiose. Alcune ben riuscite; altre no.

La copertura può servire per avere informazioni utili ma anche per somministrarne di false ove occorra. L’infiltrazione di un agente può infatti avere un duplice scopo.

In guerra forse la più famosa fu quella, nel luglio 1943, organizzata dall’intelligence britannica, per coprire la vera data dello sbarco alleato in Sicilia. Menti brillanti di una speciale sezione dell’intelligence fecero assumere a una persona morta una falsa identità, utilizzandolo come agente provocatore; la corredarono di falsi documenti “top secret” sulle date di sbarco, e in quali luoghi, e ne fecero ritrovare il cadavere dai tedeschi, che ritennero di aver fatto casualmente una importante scoperta frutto, invece, di una brillante azione di controinformazione. I documenti d’archivio inglesi narrano che i nazisti caddero nel tranello.

La copertura spesso più usata, soprattutto in momenti non di conflitto, ma di relativa calma, è sempre stata quella di un’impresa commerciale (esattamente come per la citata Maria Adela, venditrice di gioielli), o di agenzie di stampa delle quali però quasi sempre si è conosciuto il vero lavoro, appunto non solo giornalistico.

A Teheran, negli anni 1975-1986 il bravo corrispondente della Pravda parlava un ottimo farsi oltre all’arabo, e circolava in tutti i ricevimenti occidentali e non. Tutti i diplomatici ben sapevano che apparteneva al Kgb. Non si conoscevano, però, gli altri suoi collaboratori – salvo forse i servizi segreti, e non, dello Shah.

Il problema degli agenti sotto copertura è molto delicato, specialmente in Italia. Non illudiamoci di non aver mai avuto persone che raccoglievano informazioni per i nostri Servizi. Queste, però, non erano in organico nei ruoli amministrativi o militari. Un esempio noto: Francesco Pazienza, ingaggiato alla fine del 1979 dal generale Giuseppe Santovito come consulente del Sismi, in Francia, cioè un informatore ad alto livello, con un nome in codice, Miro. A dire del Pazienza stesso, non fu una esperienza positiva, almeno per lui e non solo, e finì presto, per molte ragioni. Erano certo tempi diversi.

Quale dovrebbe essere il punto fondamentale della svolta che si vuole imprimere nel quadro di una necessaria rivisitazione della legislazione concernente la nostra Agenzia per la Sicurezza esterna (Aise) riguardo a questo modo di operare? Un problema che mai è stato sfiorato in precedenza, almeno ufficialmente. Nell’Agenzia per la Sicurezza interna (Aisi), il metodo degli infiltrati è stato ampiamente usato nella lotta al terrorismo e alla mafia.

Nei vari e lunghi dibattiti parlamentari che hanno preceduto l’approvazione delle leggi 801/1977 e 124/2007, nonché della cosiddetta manutenzione della seconda con la133/2012 (la legislazione che governa attualmente le Agenzie), mai è stato sfiorato il problema di autorizzare personale di ruolo in Aise ad agire da infiltrato con una buona copertura, anche se possibilmente inattivo per molto tempo, attuando quella penetrazione informativa, come ben ricordato da Gabriele Carrer nel suo articolo del 7 settembre.

Non avendo una tradizione operativa nel settore, sarà complesso arrivare a una soddisfacente e chiara regolamentazione del problema in breve tempo; una regolamentazione che preveda per i funzionari dell’Aise la possibilità di impegnarsi in un terreno sul quale, almeno così sembra, non abbiamo esperienza consolidata, dando loro le necessarie garanzie funzionali.

Ben riconoscendo che le serie televisive partono da fatti veri, trattandoli in modo romanzato, bisogna sapere che nella serie francese Le Bureau des Légendes compare più volte il logo della Direction Générale de la Sécurité Extérieure (Dgse – corrisponde alla nostra Aise). Ai tempi durante i quali si stava girando la serie, corse voce che l’istituzione non ne fosse molto contenta, ma poi la stessa decise di dare “una mano” tecnica, in modo che non ci fossero situazioni non credibili, che avrebbero anche potuto, al limite, screditare con il pubblico la stessa Dgse. E infatti il logo ufficiale della Dgse compare spesso nel film. Occorre peraltro notare che quella istituzione si avvale di personale esperto nel settore da molto tempo.

Non è facile creare buone credibili coperture che durino nel tempo e che necessitano, a volte, anni per radicarsi e soprattutto servono menti sopraffine per delinearle.

È vero che attualmente la parte tecnologica dell’intelligence sembra avere il sopravvento sulla Humint, l’intelligenza umana, ma possiamo ben ricordare che spesso, soprattutto in un quadro mediorientale-centroasiatico, è stata la mente umana, anche se aiutata dalla tecnologia, a ottenere brillanti risultati, laddove per tradizione o scarsa conoscenza di mezzi attuali o anche per umana prudenza, le direttive operative per Isis o Daesh o similari organizzazioni sono spesso veicolate a voce o con striminziti foglietti spesso indecifrabili a chi non è della partita.

L’intelligence italiana, che ha peraltro ottimi operatori, deve fare un passo avanti nella modernizzazione, organizzando ancora meglio la propria rete informativa, ricorrendo anche ai sistemi antichi sempre validi. Sembra una contraddizione i termini ma non lo è. Questo concetto sembra ormai essersi ben radicato là dove si fa intelligence.

(Photo by Killian Cartignies on Unsplash)



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