Tre fughe di metano da tre condotte diverse in tre punti distinti. Nel giorno in cui si inaugurava un nuovo gasdotto verso la Polonia, che passa a poca distanza dai Nord Stream. Difficile non pensare a un atto ostile, come riscontrano diversi leader europei, mentre dietro agli eventi si intravvede la possibile trama di Putin
Nella giornata di lunedì gli operatori dell’industria del gas hanno notato che qualcosa non andava. Un calo di pressione, improvviso e inspiegabile, ha interessato i gasdotti Nord Stream 1 e 2. Contemporaneamente Svezia e Danimarca hanno registrato delle massicce fughe di gas nel mar Baltico. Due erano relativamente vicine, nelle zone economiche esclusive svedesi e danesi dove passano le due condotte parallele di NS1. La terza, a sudest dell’isola danese di Bornholm, coincideva con la tratta dei tubi di NS2. Nessun dubbio: stavano perdendo gas.
I due gasdotti, che collegano direttamente Russia e Germania, non erano in funzione. NS2, mai attivato, è stato congelato dalla seconda dopo l’invasione dell’Ucraina. NS1, invece, non ha mai ricominciato a pompare gas da quando Gazprom ha sospeso le operazioni a fine agosto incolpando le sanzioni occidentali per l’impossibilità di fare manutenzione. Una tattica già usata negli scorsi mesi da Vladimir Putin per aumentare la tensione sui mercati e gonfiare il prezzo del gas, una delle principali fonti di guadagno di Mosca.
Le due paia di condotte erano piene di gas in pressione, com’è necessario che sia, per non causare danni anche quando i flussi sono interrotti. I danni esterni, naturalmente, sono tutta un’altra storia. L’ipotesi di un sabotaggio ha iniziato a circolare poco dopo la scoperta delle fuoriuscite di gas, e si è sostanziata man mano che i dettagli hanno consentito di fotografare la situazione: la comparsa in contemporanea di tre perdite in tre punti diversi di tre tubi distinti. Martedì l’osservatorio sismico svedese ha dato notizia di “due forti esplosioni” nelle zone interessate dalle perdite del NS1.
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha descritto l’evento come “molto preoccupante” e sottolineato che impatta la sicurezza energetica europea. Le indagini sono partite, ma dei governi europei – più quello ucraino – hanno già parlato apertamente di un atto ostile, anche se solo Kiev ha incolpato Mosca esplicitamente. “È difficile immaginarsi che sia stata una coincidenza”, ha detto il premier danese Mette Frederiksen. “Oggi abbiamo affrontato un atto di sabotaggio, non conosciamo tutti i dettagli di ciò che è accaduto, ma vediamo chiaramente che si tratta di un atto di sabotaggio, legato al prossimo passo dell’escalation della situazione in Ucraina”, ha dichiarato il premier polacco Mateusz Morawiecki all’inaugurazione di un nuovo gasdotto tra Norvegia e Polonia, il Baltic Pipe.
Già, proprio quest’ultimo dettaglio – l’apertura di un nuovo canale di fornitura verso un Paese europeo particolarmente esposto all’aggressione economica della Russia, lo stesso giorno delle esplosioni – può aiutare a fare chiarezza. Perché se da una parte è vero che Mosca si sarebbe autoinflitta un danno nel sabotare i gasdotti che ha costruito, assieme alla Germania, al costo di miliardi di dollari, dall’altra è anche evidente che il Cremlino (alle strette sul fronte bellico e avviluppato in un’escalation per far girare le sorti della guerra) stia esaurendo le opzioni per mettere pressione sugli Stati europei, che stanno diversificando le fonti di approvvigionamento e potrebbero fare a meno del gas russo già dal 2025.
Prima dell’interruzione NS1 pompava il 10% della capacità nominale. Quello che è cambiato, tra agosto e settembre, è la reazione dei mercati alle manipolazioni russe. Gli annunci che negli scorsi mesi facevano sobbalzare il prezzo del gas avevano apparentemente perso il loro effetto. Il picco di quasi 350 euro per megawattora è stato a fine agosto, e da allora il prezzo è in costante declino. Anche quando Gazprom ha annunciato la sospensione indeterminata delle forniture via NS1, pochi giorni dopo, i mercati non hanno reagito. Perché i flussi erano già ai minimi e la Germania, assieme agli altri Paesi Ue, stava lavorando secondo il presupposto che la Russia – dimostratasi inaffidabile – avrebbe chiuso i rubinetti, e che dunque servisse recuperare il gas da altrove.
Primo, il Cremlino è perfettamente in grado di compiere un’operazione di sabotaggio del genere. Secondo, gli rimangono altri canali per vendere il proprio gas all’Ue: due gasdotti attraverso l’Ucraina (anche se sembra in procinto di chiuderne uno) e un corridoio a sud che passa anche per la Turchia. Senza contare l’unico tubo superstite nel Baltico, quello non danneggiato del NS2, che peraltro costringerebbe la Germania a una giravolta imbarazzante se decidesse di attivarlo. Terzo, occorre ricordare le sfaccettature della guerra ibrida – la sapiente miscela di propaganda, guerra energetica e conflitto cinetico – che la Russia sta utilizzando contro l’Ucraina e l’Occidente da mesi a questa parte. Una tattica sovrapponibile all’ipotesi che sia stata la Russia a far saltare i tubi.
Non si può fare a meno di considerare che un sabotaggio del genere permetterebbe a Mosca di lanciare un avvertimento ai governi proprio nel giorno in cui inaugurano nuovi canali di fornitura. Della serie: se continuate ad andare contro i nostri interessi, comprometteremo la vostra sicurezza energetica. Contemporaneamente si può nascondere dietro a un alibi perfetto agli occhi degli europei, già vessati dal caro-bollette, che dirigerebbero la loro rabbia verso i loro governi anziché la Russia, aumentando la possibilità che si disgreghi l’unità europea. A pensar male si farà anche peccato, ma nel caso di Putin – il bullo geopolitico per eccellenza – in genere ci si azzecca.