Nella proposta apparentemente ingenua del dialogo con la Cina, si riflette nel Papa la consapevolezza di un mondo sempre più multipolare. Il commento di Agostino Giovagnoli, storico dell’Università Cattolica
Il viaggio di papa Francesco in Kazakistan si è intrecciato più volte con il tema Cina. Il Kazakistan è parte di quell’area centro-asiatica su cui sta crescendo l’influenza cinese a scapito di quella russa. E negli stessi giorni della presenza del Papa, c’è stata qui la visita di Xi Jinping che proprio in Kazakistan, nel 2013, ha lanciato il grande progetto della Belt and Road Iniziative. Era perciò inevitabile che durante questo viaggio il Papa pensasse alla Cina e parlasse di Cina. Lo ha fatto già mentre l’aereo lo portava da Roma a Nur Sultan esprimendo ancora una volta il suo desiderio di visitare la Cina.
In risposta, la portavoce del ministero degli Esteri cinese ha espresso un cortese apprezzamento ma, almeno apparentemente, non c’ è stato nulla di più. Secondo Reuters, inoltre, la Santa Sede Sede avrebbe chiesto che Xi incontrasse Francesco, ma la parte cinese avrebbe declinato per mancanza di tempo. Già in precedenza, i due si erano trovati entrambi nello stesso luogo e nelle stesse ore: a New York nel 2015 e a Roma nel 2019. In entrambi i casi l’incontro non c’è stato e così pure questa volta. Sul versante cinese, dunque, il bilancio di questo viaggio è stato decisamente magro? E, se è così, perché il Papa ha continuato a raccomandare il dialogo con la Cina nel viaggio di ritorno?
Francesco ha risposto che “per capire la Cina ci vuole un secolo, e noi non viviamo un secolo”, dunque è meglio astenersi dal giudicarla. È una battuta paradossale che nasconde una convinzione profonda. Accade spesso: Francesco cerca di concentrare il suo pensiero in poche parole, per facilitarne la comunicazione da parte dei giornalisti e la comprensione da parte di tutti. Ma dietro le poche parole a volte c’è un ragionamento più ampio che rischia di sfuggire a chi le ascolta. In diverse occasioni – in particolare nell’intervista del 2016 a Asia Times –, questo papa ha detto che la Cina è un grande Paese, con un grande popolo e con una grande cultura, e che perciò va rispettata. Un’ovvietà? Non tanto, alla luce della conclusione che ne trae: se la Cina è un “gigante” che non riusciamo a comprendere – più ci si addentra nella sua conoscenza più ci si rende conto della sua complessità – l’unica strada percorribile è quella del dialogo. Una strada molto diversa da quanti sostengono che con la Cina è oggi possibile solo una “nuova guerra fredda”. A dispetto del nome, infatti, la “nuova guerra fredda” è un’altra cosa rispetto alla “vecchia guerra fredda” e teorizzando lo scontro non tra blocchi politico-ideologici ma tra grandi aree del mondo, diverse tra loro per motivi geografici, storici e culturali, ripropone nella sostanza la logica dello “scontro delle civiltà”. Parlando di dialogo, invece, il papa apre all’“incontro delle civiltà”.
È una discussione sui massimi sistemi? Meno di quello che sembra. Negli stessi giorni, Xi ha incontrato l’omologo russo Vladimir Putin a Samarcanda e la stampa di tutto il mondo ha sottolineato la sua freddezza verso la guerra della Russia all’Ucraina. Nello stesso tempo, il presidente cinese ha ribadito le accuse alla Nato e all’Occidente sulle origini di tale guerra. Nella logica dello “scontro delle civiltà” o “della nuova guerra fredda”, è la seconda cosa quella che conta: tra Occidente e Cina ci può essere solo conflitto. Così facendo, però, la comunità internazionale rischia di azzerare il ruolo che la Cina può svolgere per fermare la guerra in Ucraina (sulla stessa linea si è espresso anche l’indiano Modi, che pure non è su posizioni occidentali). È un lusso che l’Occidente non si può permettere: nella sua accezione più ampia, il mondo occidentale supera di poco un miliardo di persone, è impensabile che da solo possa modellare il mondo intero senza tener conto di Cina, India e molti altri.
Nella proposta apparentemente ingenua del dialogo con la Cina, si riflette in Francesco la consapevolezza di un mondo sempre più multipolare: per costruire un nuovo ordine mondiale adeguato alla realtà del XXI secolo occorre coinvolgere anche soggetti non occidentali, a partire proprio dalla Cina. Sebbene spezzettata in semplici battute, quella che offre il Papa è una visione globale del mondo in cui viviamo. È uno dei pochi che lo faccia nel contesto attuale.