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Otto segnali inequivocabili che gli italiani hanno mandato alla politica. Scrive Alli

Il partito di maggioranza relativa, con il 36%, è quello degli astenuti. Monito grave ad una classe dirigente che, se non darà segnali di serietà, professionalità e coerenza, porterà i votanti sotto il 50%. Ancora oggi il Governo e il suo Presidente del Consiglio godono di una fiducia superiore al 60%. Vedremo chi trarrà le conseguenze da tutto questo. Potrebbe essere proprio Giorgia Meloni a sposare la cosiddetta “agenda Draghi”. Il commento di Paolo Alli, presidente di Alternativa Popolare

Ancora una volta, il popolo italiano ha dimostrato di essere più intelligente dei suoi rappresentanti politici. Con il voto di ieri, infatti, ha dato alla propria classe dirigente una serie di segnali inequivocabili. Li riassumo in 8 punti.

  1. Ha premiato la persona che ha saputo mantenere una posizione coerente sui temi più delicati, cioè Giorgia Meloni. Però non le ha dato un vantaggio di dimensioni paragonabili a quelle che furono di Renzi, Grillo e dello stesso Salvini. Questo anche perché le sue posizioni sull’Europa, pur se coerenti, non sono del tutto convincenti.
  2. Ha pesantemente penalizzato chi, invece, non ha mai saputo mantenere posizioni coerenti, dai vaccini a Putin, cioè Matteo Salvini. Ora il segretario della Lega dice che il problema è essere stati al governo: di questo passo, tra tre mesi riporterà il suo partito a quel 4% da cui era partito, per arrivare fino al 34,3% delle Europee 2019. Urgono contromisure da parte della classe pensante della Lega.
  3. Ha deciso di investire ancora (moderatamente) sull’usato sicuro di Silvio Berlusconi, riconoscendogli, al di là del suo attuale cerchio magico, una sorta di Oscar alla carriera politica. Ma sarà l’ultima volta, anche per ragioni anagrafiche. Esattamente come si fa con gli Oscar alla Carriera.
  4. Ha plafonato sotto il 20% l’ex-democristiano Enrico Letta, fintosi estremista di sinistra, costringendolo ad una dignitosa, ancorché politicamente dannosa, dichiarazione di uscita di scena. Renzi stappa bottiglie di champagne.
  5. Ha lasciato che a votare il presunto “terzo polo” fossero le oligarchie confindustriali, lontane dal sentire popolare, e una serie di persone, per quanto in buona fede, illuse che si trattasse di una proposta di “centro” e non invece di una pura operazione destinata a sancire la sopravvivenza di pochi parlamentari. Ora Renzi lancerà un’Opa su Calenda (sfida tra due personaggi cui non difetta l’ego…), gli soffierà il “partito”, perché è molto più abile di lui, e tornerà a dialogare con il nuovo segretario del Pd, il bravo Bonaccini. Esperienza chiusa.
  6. Ha comunque pronunciato un monito molto chiaro a chi governerà il Paese, dando ancora al Movimento 5 Stelle una fiducia inaspettata, anche se non sufficiente a infastidire il manovratore. Però è come se l’avviso ai naviganti fosse del tipo: “attenti che potremmo ancora farvi del male”.
  7. Ha definitivamente affossato i partitini e coloro che contano di solleticare la pancia dei cittadini. Cito l’espulsione di Paragone dallo scenario politico, ma anche il cattivo risultato dei cosiddetti “Noi Moderati”, rimasti sotto la soglia dell’1% e salvati (per loro ammissione) dagli uninominali concessi da Fratelli d’Italia.
  8. Ha, soprattutto, per la prima volta, sancito che il partito di maggioranza relativa, con il 36 %, è quello degli astenuti. Monito grave ad una classe dirigente che, se non darà segnali di serietà, professionalità e coerenza, porterà i votanti sotto il 50% nei prossimi anni: a questo siamo destinati se perderemo 9 punti percentuali di affluenza al voto ad ogni elezione. Faccio sommessamente notare che ancora oggi il Governo e il suo Presidente del Consiglio godono di una fiducia superiore al 60%.

Vedremo chi trarrà le conseguenze da tutto questo. Se l’intuizione non mi inganna, la prima sarà proprio Giorgia Meloni, cui non manca l’intelligenza e il senso dell’opportunità. A partire dal fatto che la cosiddetta “agenda Draghi” potrebbe sposarla proprio lei, cominciando dalla scelta per il Ministro dell’Economia.

Con buona pace di Matteo Salvini, Carlo Calenda ed Enrico Letta, tutti esemplari a rischio di estinzione.

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