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Cosa (non) hanno detto i leader religiosi in Kazakistan. Il racconto di Pallavicini

Al VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e delle tradizioni spirituali ospitato in Kazakistan, papa Francesco, il metropolita russo, lo shaykh egiziano insieme agli altri esponenti religiosi hanno riconosciuto la responsabilità di guidare le comunità di credenti e cittadini all’“abbandono delle retoriche distruttive” e ad essere viandanti umili e sinceri verso un “punto di convergenza”. La riflessione di Imam Yahya Pallavicini, vice presidente Coreis, presente a Nur-Sultan

Papa Francesco, l’imam Ahmad al-Tayyeb e il metropolita cristiano ortodosso russo Anthony hanno presentato le loro conclusioni al VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e delle tradizioni spirituali ospitato in Kazakistan dal presidente Tokayev. Chi pensava o sperava che si sarebbe menzionato o risolto il conflitto in Ucraina rimarrà deluso, o forse no.

Una sintesi tradotta in italiano della dichiarazione finale adottata dai delegati provenienti da oltre cinquanta Paesi sarà presto disponibile sul sito Coreis. Come rappresentante dell’Islam italiano ero già stato nella capitale del Kazakistan nel 2017 per un evento sull’ambiente organizzato dal Vaticano all’Expò e, nel 2009, alla viglia della presidenza Osce, in una precedente edizione di questo Congresso internazionale che riunisce le autorità religiose dell’induismo, buddhismo, shintoismo, taoismo, ebraismo, cristianesimo e islam.

L’emergenza della pandemia, l’attualità dei conflitti in corso e la partecipazione di papa Francesco, dell’imam Ahmad al-Tayyeb e del delegato del Patriarca Kirill hanno cambiato radicalmente il contesto spirituale, politico e sociale che aveva caratterizzato questo congresso nelle sue precedenti edizioni. L’Asia Centrale ha permesso di orientare incontri bilaterali, riflessioni e testimonianze, strategie e programmi in modo serio e dolce, con un ritmo serrato ma di grande respiro e rispetto, in modo non convenzionale rispetto ai criteri, alle analisi e alle dietrologie a cui siamo forse abituati in altre regioni del mondo.

Lo shaykh di al-Azhar, la prestigiosa Istituzione islamica del Cairo, ha parlato di “razionalità e intellettualità religiosa”. Papa Francesco ha osato mettere in discussione la separazione tra religione e politica almeno per la libertà dei credenti nella vita pubblica, al riparo da discriminazioni o persecuzioni o astrazioni. Il metropolita russo ortodosso Anthony ha condannato le pretese egemoniche del potere e ha ricordato che le religioni curano l’anima e le sue malattie.

Certo, non mancheranno tra i lettori alcuni critici irriducibili che attribuiranno alle loro parole una incoerenza, delusi dall’insoddisfazione di non trovare, subito, per tutti e per sempre, giustizia e pace. Eppure, papa Francesco ha parlato della “follia delle guerre” che partono dalle incomprensioni, dalle errate percezioni e giudizi che attribuiamo al prossimo perché non ci rendiamo conto di essere “connessi ma lacerati” dalle divisioni, dalle diseguaglianze che confondiamo, a torto, con la ricchezza delle diversità dei culti e delle culture. Con questa miopia mentale “ammantiamo di sacralità” una guerra, una violenza, un odio, una motivazione che “nulla ha a che fare con l’autentico spirito religioso”.

Anche il grande imam Ahmad al-Tayyeb ha citato i richiami alla sordità e all’indifferenza di coloro che si ostinano ad essere insensibili alla ragione e alla sacralità della vita. Ha invitato alla riunione dei credenti per superare le opposizioni e purificare le intenzioni. Ha ripreso antichi insegnamenti dei maestri musulmani sulle finalità essenziali della dottrina religiosa e sulla necessità di contestualizzare e rinnovare l’interpretazione del messaggio della Rivelazione. Ha pregato affinché le guide religiose sappiano accompagnare e curare le comunità e i giovani dal senso di vuoto e riscoprire e difendere il valore di una civiltà, di una famiglia e di una amicizia.

Allo stesso modo, il responsabile Anthony della chiesa ortodossa russa per le relazioni esterne ha testimoniato come il dialogo e la cooperazione interreligiosa sia utile per affrontare insieme la crisi morale dei popoli e delle Nazioni e riscoprire la lettura dei segni della creazione di Dio.

Forse gli irriducibili critici di prima, potranno trovare soddisfazione solo quando sentono il metropolita Anthony criticare le diseguaglianze nell’amministrazione dell’energia e del cibo tra Eurasia e le altre regioni della terra. Ma questa è una valutazione commerciale o geopolitica. Parallelamente, altri integralisti potranno trovare soddisfazione nel loro esclusivismo anti-ecumenico per contraddire il pontefice della chiesa cattolica quando dice che “il dialogo interreligioso non è più una opportunità ma un servizio” dove la tensione verso la trascendenza si declina nella fratellanza di amare il prossimo e favorire “il bene dell’essere umano”.

A me sembra che nella capitale del Kazakistan ci sia stata l’occasione di ritrovarsi e affrontare un aggiornamento dei nostri rapporti interreligiosi e la consapevolezza della gravità della situazione. Tutti e tre, il pontefice argentino, il metropolita russo, lo shaykh egiziano insieme all’imam italiano e ai ministri musulmani dal Marocco e dagli Emirati Arabi Uniti, dalla Malesia e dal Pakistan, insieme ai rabbini d’Israele, al patriarca di Gerusalemme, ai monaci orientali, ai pastori evangelici dal Nord Europa e dall’America, al maestro taoista cinese, abbiamo riconosciuto la responsabilità di guidare ed educare le nostre comunità di credenti e cittadini all’“abbandono delle retoriche distruttive” e ad essere viandanti umili e sinceri verso un “punto di convergenza” che, ribaltando ciò che ha detto papa Francesco, per me, non sarà “l’uomo” ma il Signore dell’umanità intera.

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