Bettini e De Masi in prima linea. Le loro interviste dimostrano la volontà dei pentastellati di rifare la “cosa giallorossa”. Ma molto dipenderà da chi prenderà il posto di Letta
“Senza M5S non resta alcuna altra prospettiva politica. Se non l’isolamento, che è stato determinante, in senso negativo, nella battaglia dei collegi uninominali”. Parla così Goffredo Bettini, storico dirigente del Partito democratico, ideologo del governo giallorosso. “Il Pd è principalmente il partito dei ceti medi urbani, civili e progressisti. [Giuseppe] Conte è più penetrante nel popolo, tra i diseredati”, spiega intervistato dal Fatto Quotidiano, il giornale di Marco Travaglio che da tempo ormai spinge per un riavvicinamento tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle. “Il rapporto unitario è arricchente per entrambi”, dice ancora. L’obiettivo è “ricucire il campo largo per evitare che la destra debordi, per difendere la Costituzione, per non snaturare la Repubblica”, aggiunge Bettini.
Che non è l’unico pontiere già al lavoro a poche ore dalla chiuse delle urne. Un altro è il professor Domenico De Masi, considerato l’ispiratore della “svolta a sinistra” del Movimento 5 Stelle. Intervistato dal Manifesto dice che le elezioni “rappresentano il crollo della politica economica neoliberista”, attacca il Pd (il fatto che “abbia candidato un economista neoliberista come Carlo Cottarelli, di cui sono amico e ho pieno rispetto, rappresenta un errore clamoroso”) ma non chiude la porta. Anzi. A Conte consiglia di “consolidare la sua fede di sinistra, che non è affatto scontata. Ci sono le basi, ma bisogna lavorare a una leadership di veramente di sinistra”. Anche perché, spiega, dopo il “guazzabuglio draghiano” che “cancellava il conflitto”, ora “ci sono una destra e una sinistra”. “Fino a oggi il Pd diceva che era di sinistra senza esserlo mentre i 5 Stelle erano di sinistra senza dirlo. Se si riesce a isolare [Matteo] Renzi e [Carlo] Calenda e si crea una linea comune, la sinistra finalmente può cominciare una lunga marcia che porta alla costruzione di un’alternativa seria”, aggiunge.
Tutto pronto per una riedizione della cosa giallorossa? È ancora presto per dirlo. Se il Movimento 5 Stelle di Conte, forte della rimonta elettorale, appare deciso, il Partito democratico dovrà aspettare marzo, con il nuovo congresso da cui uscirà un nuovo segretario. In prima fila ci sono Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, ed Elly Schlein, la sua vice. A entrambi un riavvicinamento al Movimento 5 Stelle potrebbe non convenire. Al primo, passato recentemente dal “mai più” con i grillini al “dialogo”, perché riferimento di quell’area riformista che al Movimento 5 Stelle a Conte non perdano l’aver scatenato la crisi del governo Draghi. Alla seconda, considerata la Alexandria Ocasio-Cortez d’Italia, in quanto la sua agenda potrebbe avere tanti, troppi punti di contatto con quella pentastellata. Altri nomi che circolano, da Giuseppe Provenzano ad Andrea Orlando, potrebbero avere un interesse maggiore a riallacciare i rapporti.
In ogni caso, l’eventuale riappacificazione con il Movimento 5 Stelle sarà un elemento di discussione centrale per il Partito democratico da qui a marzo. Il primo banco di prova arriverà con le regionali nel Lazio. Nicola Zingaretti è stato eletto in Parlamento e lascerà il suo incarico alla Pisana, dove l’unione giallo-rossa ha permesso al governatore di avere una maggioranza. Il candidato del centrosinistra, con ogni probabilità, cercherà l’accordo con i 5 Stelle. Perché Giorgia Meloni, dimenticato lo scivolone Michetti, vuole cavalcare la vittoria politica per prendersi la regione in cui Fratelli d’Italia ha appena incassato il 31% dei consensi. Ha il problema degli alleati: Forza Italia e Lega viaggiano intorno al 6% ciascuna…