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Politica e pop corn – Il potere (politico) del cringe

Nella nuova puntata di Politica e pop corn Martina Carone, consulente Quorum-YouTrend e docente di Analisi dei media all’Università di Padova, mette a nudo potenzialità e controindicazione dell’effetto “cringe” sulle scelte comunicative della campagna elettorale

Sapete che cosa vuol dire “cringe”? Viene definita cringe una situazione, un fatto, un’attività che mette in imbarazzo chi la fa e fa sentire a disagio chi la osserva. Ecco, solitamente questo termine viene utilizzato per sottolineare una presa in giro, e questa campagna elettorale abbiamo visto essere piena di molti episodi cringe.

Forse quello più recente, dove però c’è anche un’accezione strategica importante da sottolineare, è il video di Coraggio Italia. Lo avrete visto sui social media, è un video che gioca con alcuni linguaggi, addirittura un video animato e letteralmente di taglio pop, super comunicativo che cerca di sdrammatizzare o comunque di portare dei messaggi più leggeri come lo slogan, il jingle di Coraggio Italia.

Il primo aspetto che si può commentare è che se non si riesce a far ballare in modo coordinato 4 pupazzetti forse è meglio cercare di puntare su altre qualità, ma in generale c’è da dire il jingle entra in testa, e ci rimane. Dopo averlo ascoltato non si riesce a smettere di canticchiarlo, si tratta di un meccanismo iper pubblicitario, una chiave super commerciale in cui però ritroviamo alcuni dei messaggi fondamentali che devono esistere e coesistere in uno slogan o in generale in un messaggio politico per poter essere efficace.

 

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Dunque, un messaggio per poter avere presa deve essere memorabile, e questo video lo è; è molto semplice e quindi evidentemente è di facile fruizione e interpretazione; è molto ripetuto e sappiamo che la ripetizione è una delle caratteristiche che rendono uno slogan molto efficace. In questo caso, però, la ripetizione non è nella ripetizione reale del messaggio o del nome della forza politica, ma è nel fatto che proprio perché è un po’ cringe verrà iper condiviso e diventerà iper virale e questo è un risultato che va riconosciuto.

Un altro livello di cringe, direbbero appunto gli utenti di internet, lo abbiamo visto quando abbiamo letto sui giornali, e in generale anche sui social, delle difficoltà che ha avuto Enrico Letta a portare avanti il suo giro elettorale con il suo ecobus, il vettore fisico con cui portare in giro per l’Italia, nell’ultimo miglio, nell’ultima parte di questo tour, le proposte del Partito democratico. Cosa è successo? Lo stato delle strutture e dei supporti alla mobilità elettrica in Italia è piuttosto carente e questo è uno dei motivi per cui evidentemente anche l’ecobus di Enrico Letta è incappato nella difficoltà di riuscire a trovare degli attacchi dove poter ricaricare il mezzo.

Questo è stato inconsapevolmente forse poi una chiave di risposta e di rilancio del suo messaggio, un inciampo su una campagna che in qualche modo come viene detto voleva anche sottolineare l’inefficacia e l’inefficienza italiana proprio su questo infrastrutture. Sarà così? Può essere, probabilmente sì, però rimane questa sensazione un po’ cringe.

Terzo e ultimo popcorn fresco fresco: è proprio di poche ore fa il tweet con cui Carlo Calenda annuncia di partecipare su altri canali attivamente al dibattito tra Enrico Letta e Giorgia Meloni. Non è la prima volta che il leader si scaglia contro questa tendenza a polarizzare una campagna elettorale che a lui non conviene sia così dicotomica. Però evidentemente in questo modo Carlo Calenda cerca di trovare uno spazio e di affermare l’importanza di quello che viene chiamato terzo polo e che Calenda vorrebbe fosse un terzo polo anche numericamente.

Non è la prima volta che un leader politico fa una mossa di questo tipo, quindi non invitato e non partecipando a un dibattito o a un confronto tra due leader politici trova altri modi per poterci essere. Lo fece Pippo Civati nel 2013 ed evidentemente fu un modo molto interessante per esserci comunque, vedremo come se la caveranno anche gli sfidanti ignari di Carlo Calenda.

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