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La politica estera di Meloni vista da Washington. Scrive Cristiani (GMF)

Di Dario Cristiani

Nemmeno il governo populista M5S-Lega nel 2018 è riuscito a sconvolgere le tradizionali alleanze dell’Italia, dopo anni di dichiarazioni. È improbabile che ciò accada ora con Fratelli d’Italia. L’analisi di Dario Cristiani, resident senior fellow al German Marshall Fund

Dalle elezioni italiane è uscito un verdetto chiaro: il prossimo governo nascerà da una coalizione di destra. Tutta l’attenzione era e rimarrà su Fratelli d’Italia, il partito guidato da Giorgia Meloni, che si è piazzato al primo posto con oltre il 26% dei voti, in forte crescita rispetto al 4,3% del 2018. È molto probabile che sia lei o un altro del partito a guidare il prossimo governo.

Molti osservatori internazionali temono che la fine del governo di Mario Draghi significhi anche la fine del ruolo positivo e costruttivo che l’Italia ha svolto nel consenso transatlantico sull’Ucraina e sulla risposta alla guerra di aggressione della Russia. Questi timori sono alimentati anche dalla singolare divergenza esistente tra le azioni di Draghi e l’opinione pubblica italiana. L’edizione 2022 del sondaggio Transatlantic Trends del German Marshall Fund mostra come l’opinione pubblica italiana rappresenti un’eccezione quando si tratta di fornire equipaggiamenti militari all’Ucraina. Il sostegno a questo proposito nei Paesi presi in esame va dal 58% all’80%, ma in Italia solo il 38% dichiara di voler fornire armi all’Ucraina. Una parte significativa dell’opinione pubblica italiana ha anche mostrato, in più di un’occasione, una certa simpatia per la Russia e le sue narrazioni e posizioni sulla guerra in Ucraina.

Tuttavia, è improbabile che Meloni, da presidente del Consiglio, possa cambiare la rotta dell’Italia sull’Ucraina. Tra i leader di destra del Paese, Meloni è sempre stata la più esplicita e chiara nel suo sostegno all’Ucraina, in contrasto con le posizioni più ambigue di Silvio Berlusconi di Forza Italia e Matteo Salvini della Lega. Con Fratelli d’Italia unica forza di opposizione alla coalizione di governo di Draghi, avrebbe potuto facilmente sfruttare la questione Ucraina per ragioni elettorali cavalcando l’opinione pubblica sulla guerra e sulle forniture di armi, ma non lo ha fatto.

Inoltre, dato che Lega e Forza Italia hanno preso molti meno voti del partito di Meloni, è improbabile che Salvini e Berlusconi abbiano molta influenza sulla politica estera, che la leadership di Fratelli d’Italia sa essere particolarmente delicata. Parlando dopo la vittoria del suo partito, Meloni ha detto che “questo è il momento della responsabilità”. Questo guiderà la sua politica estera in Europa, e non soltanto.

Sebbene sia improbabile che il particolare marchio di euro-atlantismo di Draghi venga replicato in toto, anche perché era strettamente legato alla sua persona, è probabile che Meloni e Fratelli d’Italia rimangano fermamente impegnati nei suoi principi. Ma il nuovo governo seguirà anche i precedenti storici dei governi italiani di destra, in cui l’atlantismo era spesso considerato più importante dell’europeismo. Tuttavia, i vincoli strutturali che Meloni e Fratelli d’Italia dovranno affrontare in ambito Ue sono troppo forti e costosi da superare.

Per quanto riguarda le relazioni con i governi sovranisti dell’Unione europea, un governo guidato da Fratelli d’Italia guarderà probabilmente più alla Polonia che all’Ungheria. Molti all’interno del partito vedono un eventuale asse con la Polonia come un potenziale modo per controbilanciare Francia e Germania all’interno dell’Unione europea. Tuttavia, anche in questo caso la realtà costringerà Fratelli d’Italia ad adottare un approccio pragmatico. L’Italia è tra i principali beneficiari dei finanziamenti di NextGenerationEU e l’attuazione del Pnrr è un chiaro interesse nazionale compreso dall’intera classe politica. Inoltre, dato il peso del debito pubblico, Roma non può permettersi rapporti problematici con la Commissione europea e la Banca centrale europea.

La pandemia di coronavirus e l’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi dell’energia hanno dimostrato chiaramente che l’industria italiana, in particolare quella del Nord, è ormai quasi completamente integrata in importanti catene del valore con quella tedesca. Poiché Fratelli d’Italia è ora il maggior partito del Nord, i suoi leader non possono facilmente adottare un approccio conflittuale nei confronti di Berlino, poiché si alienerebbero alcuni dei suoi nuovi elettori, per esempio nei distretti industriali della Lombardia e del Veneto, le cui imprese hanno forti legami commerciali con le aziende tedesche.

Quanto alla Francia, è storicamente considerata una sorta di nemesi dai partiti di destra italiani. Tuttavia, una delle prime mosse diplomatiche di Draghi è stata quella di definire e ratificare il Trattato del Quirinale con la Francia. Consapevole del fatto che una parte dello spettro politico non percepisce la Francia come un alleato naturale, ha fatto ciò per creare un quadro diplomatico che renda le relazioni più prevedibili e meno influenzate dalle preferenze di qualunque partito sia al potere in uno dei due Paesi.

Infine, l’Italia ha istituzioni che, in più di un’occasione, sono riuscite a bilanciare le spinte provenienti dal mondo politico per spostare o rivedere parzialmente la politica estera e le alleanze storiche del Paese. È chiaro che il successore di Draghi a Palazzo Chigi non avrà la stessa posizione e lo stesso prestigio europeo, ma è sbagliato aspettarsi che un nuovo governo guidato da Fratelli d’Italia sconvolga le tradizionali alleanze dell’Italia. Nemmeno il governo populista di Movimento 5 Stelle e Lega nel 2018 è riuscito a farlo, dopo anni di dichiarazioni. È improbabile che ciò accada ora.

 

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sul sito del German Marshall Fund (traduzione di Formiche.net)

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