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Miti e realtà della mobilitazione bellica di Putin

Di Stefania Jaconis

Quella che l’esperto militare inglese Rob Lee ha definito “una delle decisioni più significative e più rischiose di Putin” potrà avere effetti non rilevanti o addirittura disastrosi per le ricadute strategiche del conflitto, soprattutto in termini di perdite di vite umane

La “mobilitazione parziale” annunciata e messa in atto da Putin nell’intera Federazione Russa sta facendo emergere elementi nuovi, e in parte inattesi, della cosiddetta Operazione Speciale, e soprattutto del mutare della percezione di essa tra la popolazione. Che per la prima volta viene obbligata a considerare la guerra in corso in Ucraina non solo come uno spettacolo televisivo da seguire dal divano, ma come qualcosa che può effettivamente “entrare” nel salotto. E in tutte le stanze della casa. E delle case di tutto il Paese.

Può toccare, cioè, anche i “salotti buoni”, quelli della parte etnicamente più blasonata della Federazione, e soprattutto delle grandi città. Dal 21 settembre, giorno della promulgazione dell’editto putiniano sulla mobilitazione dei riservisti, le file agli aeroporti e a tutti i punti di frontiera possibili in cerca di una via fuga all’ estero (dai paesi baltici alla Finlandia, dalla Turchia alla Georgia, dall’Armenia al Kazachstan), vedono infatti coinvolti cittadini di tutte le zone della Russia, di qualunque nazionalità, etnia e classe sociale. Si è calcolato che alla giornata di sabato scorso siano stati oltre 260.000 gli uomini adulti che hanno lasciato il Paese. Ma potrebbero essere di più, se si considera che nel solo Kazachstan si sono rifugiate circa 100.000 persone.

Hanno ragione a scappare, a qualunque costo (i biglietti hanno raggiunto prezzi astronomici) e con qualunque mezzo? Vediamo alcuni dati. Innanzitutto, l’eccezionalità dell’evento: una partecipazione “forzosa” a fatti bellici era stata chiesta l’ultima volta in occasione della seconda guerra mondiale, e poi mai più (non per l’Afghanistan, per la Cecenia o per la Siria). Mentre nell’ex Unione Sovietica era attivo un piano di mobilitazione generale in vista di una possibile Terza Guerra Mondiale, la Federazione Russa di fatto non ha mai posto molta attenzione al ruolo e alla qualificazione dei riservisti, la cui cifra ufficiale si aggira, con ampia e “ufficiale” approssimazione, sui 25 milioni.

Le cifre aiutano sempre a capire, quindi vediamone altre: ufficialmente, i riservisti “mobilitati” dovrebbero essere, stando alle parole del Ministro della Difesa Shoigu, circa 300.000: tutti dotati di preparazione militare o forti dell’aver preso parte a eventi bellici. (In realtà, le caratteristiche di quelli coscritti sino ad ora sono ben diverse, e non hanno lasciato indietro poeti e disabili…) Una cifra imponente, pari a oltre il doppio di quelle che pare fossero le forze di attacco all’ Ucraina nello scorso febbraio. Incidentalmente, possiamo notare che tra i soldati russi, sempre in base al Ministero della Difesa, i morti ufficiali non raggiungono a oggi le 6000 unità (5937 per essere precisi). Bel modo, dunque, di sostituire le forze abbattute… in questo senso i conti non tornano proprio! Ma le dissonanze aritmetiche non finiscono qui: giornalisti di Novaya Gazeta-Evropa hanno saputo che nel testo del proclama ufficiale esiste anche un punto, il numero 7, non reso pubblico, secondo cui la cifra dei richiamati può essere aumentata fino a toccare oltre un milione di persone, 1 milione e 200.000 per l’esattezza – dato confermato anche da Meduza.

Va poi ricordato che, in base all’ ultima legge in materia, del 1997, in caso di mobilitazione generale possono essere chiamate anche le donne con studi e specializzazioni in particolari discipline, che vanno da vari campi della medicina alle comunicazioni, dall’informatica all’ idrologia, la meteorologia e la cartografia…Tali figure sono considerate parte dei riservisti fino ai 50 anni di età, mentre, nel caso degli ex militari, l’appartenenza alle forze riserviste va da un” età limite minima di 35 anni per i soldati semplici facenti parte del primo drappello di richiamati fino ai 70 anni degli ufficiali di rango superiore del terzo drappello.

E qui i conti cominciano a tornare, e iniziamo a vedere diversamente i tentativi di centinaia di migliaia di persone di lasciare il Paese, le sempre più numerose manifestazioni di protesta e quella che, secondo alcuni, potrebbe essere a giorni la reazione delle autorità, e cioè la chiusura delle frontiere. (Sino ad oggi sono stati pochissimi i casi di passeggeri maschi a cui è stato impedito di partire da alcuni aeroporti, ma questo probabilmente si spiega con la difficoltà di individuare possibili coscritti.) In una prospettiva diversa appaiono anche i numerosi e sinistri incendi dei centri di reclutamento: ne sono stati dati alle fiamme, dall’inizio della guerra, quasi un centinaio.

Le sconfitte sul campo in Ucraina, a partire dagli eventi di Kharkiv, e le disposizioni sulla mobilitazione “parziale” stanno portando a rivedere le valutazioni che si facevano, anche da parte occidentale, sulla forza e l’adeguatezza dell’apparato militare russo, che si riteneva vantasse un esercito forte di oltre un milione di uomini, ben equipaggiato e dotato di tecnica e infrastrutture avanzate ed efficienti (va forse detto che tutto questo alimentava, all’ interno del Paese, uno dei pochi miti rimasti, quello dell’invincibilità dell’esercito della Federazione, pronto a misurarsi con dignità e valore contro il depravato e imbelle “Occidente collettivo”).

In realtà, come rivelato recentemente da un analista militare russo, l’esercito nazionale, che per legge dovrebbe disporre di almeno un milione e centomila uomini, ne conta oggi a mala pena 850.000, mal equipaggiati e dotati di armamenti e infrastrutture che a volte risalgono agli anni “60 del secolo scorso. Non a caso, una valutazione “interna” delle vittime effettive del conflitto parla al momento di circa 500 caduti al giorno. Che quindi una qualche forma di supporto militare fosse necessaria appariva evidente a molti, e un “falco” ultranazionalista come Igor Gidkin, noto come Strelkov, propugna con convinzione una mobilitazione (totale o parziale) di riservisti già dal mese di aprile.

Veniamo ora all’ aspetto forse più importante della questione, che è quello relativo all’ apporto che le nuove forze potranno dare alla guerra. Innanzitutto va tenuto conto che, anche a giudicare dalle prime caotiche mosse della campagna di reclutamento, la prassi seguita sarà molto spesso in forte discordanza con la teoria: verranno mandati al fronte giovani senza alcuna esperienza militare e che non hanno seguito corsi di addestramento, per i quali mancano sia il tempo che le risorse. Quella che l’esperto militare inglese Rob Lee ha definito “una delle decisioni più significative e più rischiose di Putin” potrà quindi avere effetti non rilevanti (tesi della Rand Corporation) o addirittura disastrosi per le ricadute strategiche del conflitto, soprattutto in termini di perdite di vite umane: pochi giorni fa in un” intervista a una radio indipendente l’analista militare russo Ian Metveev ha dichiarato che, secondo lui, il tasso di sopravvivenza delle nuove reclute con alta probabilità sarà di appena il 50%.

(Foto dal profilo Twitter del Cremlino)


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