La politica e l’industria tedesca intendono continuare sulla strada dell’intensificazione dei rapporti iniziata con il governo Draghi, anche se il prossimo governo fosse guidato da personalità marcatamente di destra. Il vero timore, spiega Euractiv, è l’orbanizzazione dell’Italia, che potrebbe mettere a repentaglio la collaborazione europea
Negli ultimi mesi l’Italia si è mossa per rafforzare la propria influenza all’interno dell’Unione europea, dove la Brexit ha spostato il centro di gravità sull’asse franco-tedesco, motore economico dei 27. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha seguito personalmente il Trattato del Quirinale, un processo avviato durante il governo Gentiloni, che a novembre 2021 ha legato Roma e Parigi.
Considerati il Trattato di Aquisgrana che unisce Parigi e Berlino, per chiudere il “triangolo” manca soltanto il ponte Roma-Berlino. Come? Tramite il Piano d’azione tra Italia e Germania, annunciato dal presidente del Consiglio uscente e il cancelliere tedesco Olaf Scholz a dicembre e confermato dai ministri degli Esteri, Luigi di Maio e Annalena Baerbock, a gennaio. L’auspicio era di firmare l’intesa entro la prima metà dell’anno ma l’invasione russa dell’Ucraina e la caduta del governo Draghi hanno causato il rinvio.
Secondo quanto appreso da Formiche.net nelle scorse settimane, il Piano d’azione era in fase avanzata, quasi pronto per la firma. Ora, però, è tra i dossier che attendono il prossimo governo – che secondo gli ultimi sondaggi dovrebbe vedere la coalizione di centrodestra guidata da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, alla guida del Paese. L’ipotesi che un esecutivo così assortito possa, con gli occhi dell’Europa e del mondo puntati addosso, fare passi indietro è assai remoto. Piuttosto, potrebbe chiedere di rivedere alcuni aspetti, non certo l’ossatura del testo.
Euractiv ha indagato la questione sul lato tedesco, dove sembra esserci la volontà di chiudere l’accordo anche con un eventuale governo targato Fratelli d’Italia. Il tutto nonostante Lars Klingbeil, segretario dell’Spd, partito di Scholz, abbia recentemente dichiarato il proprio sostegno al Partito democratico di Enrico Letta. “Sarebbe davvero un segnale importante se vincesse Letta e non Meloni, che, come partito post fascista, porterebbe l’Italia in una direzione sbagliata”, ha detto.
La portavoce del governo tedesco Christiane Hoffmann non ha voluto fornire ulteriori dettagli. Ma “alcuni parlamentari tedeschi che guidano i dossier italiani al Bundestag hanno già chiesto di continuare il Piano d’azione”, si legge. Anche nel caso in cui la destra meloniana, il cui retaggio lascia il pubblico tedesco circospetto, si insediasse a Palazzo Chigi. E questa tendenza alla realpolitik sarebbe diffusa sia tra i membri del governo, inclusi quelli a sinistra, sia tra gli esponenti della Cdu all’opposizione.
Esempio concreto: il socialdemocratico Axel Schäfer, presidente del gruppo parlamentare italo-tedesco, nel pezzo di Euractiv usa toni durissimi contro il centrodestra italiano ma sottolinea che “sarebbe un errore fatale interrompere il dialogo e la cooperazione con la società italiana come reazione alle elezioni. Al contrario, il Piano d’azione è necessario ora più che mai e non deve essere ritardato. Il risentimento xenofobo è più forte dove mancano i punti di contatto”. Da parte della Cdu, il parlamentare Hans-Jürgen Thies ha dichiarato laconicamente che “non c’è alternativa al proseguimento del dialogo italo-tedesco”.
Il sentimento tedesco fa ben sperare per il consolidamento della collaborazione tra le prime due potenze industriali europee. Ma a Berlino spaventa molto più l’ombra del premier ungherese Viktor Orbán – colui che è stato recentemente difeso da Meloni e nelle ultime ore ha chiesto che le sanzioni contro la Russia vengano rimosse – rispetto alla memoria sbiadita di Benito Mussolini. In tutto l’arco parlamentare del Bundestag si teme “l’orbanizzazione dell’Italia”, per usare le parole di Thies, che ha fatto eco all’eurodeputato socialdemocratico Udo Bullmann. Schäfer, da parte sua, sospetta che la destra “orbanizzata” al governo possa far leva su “divisione, ostilità e approcci nazionali ‘fai da te’” per disgregare l’unità europea.