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Formazione tecnico-professionale, pilastro dello sviluppo. Il prof. Valditara spiega perché

Di Giuseppe Valditara

Per il sistema produttivo dell’Italia è necessario puntare al rilancio e al potenziamento della formazione tecnico-professionalizzante che non può più essere considerata una seconda o terza scelta, insomma un percorso di serie B. Il commento di Giuseppe Valditara

Nella più grande potenza industriale d’Europa, la Germania, l’80% degli studenti frequenta l’apprendistato e le scuole tecnico-professionali. In Italia, fra formazione e istruzione professionale regionale e istruzione tecnica statale, siamo a poco più del 40%, a fronte del ben 58% degli studenti che scelgono il sistema liceale. Non è un caso, dunque, se sempre in Germania ben 900.000 giovani frequentino il sistema della formazione tecnica superiore, costruito in continuità con il precedente e coerente percorso scolastico tecnico-professionale. Per fare un paragone, nel nostro Paese fino ad oggi sono soltanto 16.000.

È interessante constatare come negli anni ’70 del secolo scorso, quando l’Italia era la quinta potenza industriale al mondo, ben il 72% dei giovani frequentasse il sistema dell’istruzione tecnico-professionale. È anche legato all’arretramento di questo tipo di formazione, fondamentale per il sistema produttivo, che oggi siamo scivolati all’undicesimo posto nella classifica dei Paesi più industrializzati e si prevede saremo al sedicesimo fra 8 anni. Non è un caso che l’Italia sia l’unica tra i Paesi Ocse ad avere un’istruzione generalista che supera di quasi 20 lunghezze quella tecnico-professionale. Questa situazione preoccupante, in specie poi in un Paese come il nostro che fa dell’artigianato il suo punto di forza, è il frutto di una demagogia ideologica fintamente egualitaria che disprezza l’importanza delle competenze reali e della preparazione al lavoro nella formazione, tradendo l’insegnamento di Cavour, Cattaneo, Einaudi, oltre che dei più grandi pedagogisti (da Rousseau, Dewey, Hessen, Kerchensteiner). La formazione per l’impresa non può permettersi il lusso di trascurare la pratica in favore della sola teoria.

Questa situazione spiega un’altra anomalia del sistema scolastico italiano, ovverosia una dispersione molto alta che ha toccato nel 2021 il 12,7%, così come un alto tasso (il 24%) di neet, cioè di giovani che non studiano, non lavorano, non si addestrano al lavoro.

Ciò che dunque serve al nostro sistema produttivo è il rilancio e il potenziamento della formazione tecnico-professionalizzante che non può più essere considerata una seconda o terza scelta, insomma un percorso di serie B. Proprio la buona formazione regionale lombarda fa sì che molti giovani trovino una loro realizzazione personale valorizzando talenti altrimenti inespressi venendo chiamati a risolvere problemi concreti, a fianco di persone che lavorano in azienda.

Grazie al Pnrr abbiamo per la prima volta la possibilità di costruire un sistema dell’istruzione tecnico-professionale secondaria e superiore dai 14 ai 22 anni che potrebbe essere una grande opportunità per il nostro Paese. Non è un caso che proprio l’Europa, spesso tirata in ballo per fini di polemica politica, abbia condizionato i fondi del Pnrr dedicati al nostro sistema di istruzione al potenziamento della formazione tecnico-professionale.

Lavoro, impresa, Europa, agenda Draghi vanno dunque in una direzione del tutto opposta a quella irresponsabilmente sostenuta da Letta, dal programma elettorale del Pd, come pure da Calenda che auspicano di fatto una distruzione del nostro sistema di formazione/istruzione tecnico-professionale in nome di una scuola generalista con risultati che sarebbero devastanti sulla occupazione dei giovani, sullo sviluppo industriale del nostro Paese e sulla tanto declamata e invocata compatibilità con la agenda europea.


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