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La campagna elettorale italiana vista dai principali corrispondenti esteri a Roma

Di Matteo Turato

Dubbi sulla svolta conservatrice meloniana, paura per neo-fascisti ed euroscettici, e un generale clima di sfiducia sulla capacità dei partiti di proporre soluzioni in un momento delicato e complesso

Mercoledì 14 settembre si è tenuta presso il Guarini Institute una conferenza dal titolo “Italian Election Viewed by International Press Correspondents”. L’evento ha voluto raccontare le reazioni di alcuni dei principali corrispondenti esteri a Roma rispetto all’attuale campagna elettorale. Presenti Andrew Spannaus, Angela Giuffrida, Janko Petrovec, Ine Roox, Trisha Thomas e Philip Willan.

RISCHIO FASCISMO?

La prima impressione è che la stampa internazionale guardi all’ascesa di Giorgia Meloni con molta più preoccupazione di quanta ne abbiano gli italiani. La moderatrice Amy Kay Rosenthal ha dato il via al dibattito con una piccola provocazione, riprendendo la polemica che il direttore del Corriere della Sera Antonio Polito ha recentemente rivolto ai giornalisti stranieri, di concentrarsi eccessivamente fascismo e neo-fascismi, tralasciando questioni più importanti. La reazione dei panelist è stata pressoché unanime nel ricordare che la storia di Meloni è intrisa di neofascismo dalla sua origine nel Movimento Sociale Italiano, ad Alleanza Nazionale, fino ad oggi e che l’abbandono (nemmeno tanto esplicito) di alcune sue posizioni è avvenuto nel giro di qualche settimana, quando la leader ha scoperto di poter essere effettivamente candidata a governare l’Italia. Se la leadership di Fratelli d’Italia si vuole raccontare come una corrente del conservatorismo europeo, gli oratori hanno sostenuto che ad oggi non si è vista nessuna prova concreta, nessun atto, nessuna legge, nessuna azione che smarchi il partito dall’estrema destra. In particolare Philip Willan e Janko Petrovec hanno evidenziato che le basi elettorali meloniane di Casapound e Forza Nuova si aspetteranno di essere ripagate per il loro sostegno. I presenti hanno ricordato di essere consci del fatto che non arriverà Benito Mussolini a Palazzo Chigi, ma che l’estrema destra italiana è stata euroscettica e filorussa fino a ieri.

CRISI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE

Janko Petrovec ha evidenziato come il ventennio berlusconiano abbia fondamentalmente cambiato il modo di pensare della generazione che oggi ha sessanta-ottanta anni, una porzione consistente della demografia italiana attuale. Con le sue televisioni, non tanto con la pura propaganda, ma proprio tramite i programmi di intrattenimento, ha plasmato un nuovo modo di intendere la politica. Su questo si inserisce anche il discorso delle prospettive e speranze che le giovani generazioni di oggi nutrono verso il futuro. Un futuro percepito come peggiore del momento presente, in un grande moto di disillusione, al contrario dei loro genitori negli anni settanta e ottanta. Questi fenomeni spingono l’elettore medio a cercare il politico meno “colpevole” possibile e su questo Giorgia Meloni gioca la sua partita. Draghi, il Pd, il M5S, Salvini, Letta sono tutti personaggi o partiti che si sono “macchiati” di una recente esperienza di governo.

IL CENTROSINISTRA

Gli oratori si sono trovati unanimemente d’accordo nel sostenere che la sinistra a guida Pd sembra aver perso il contatto con la realtà, non riuscendo né a prevedere l’ascesa delle destre prima con Salvini e poi con Meloni, né a proporre alternative credibili. Petrovec ha evidenziato come, a suo parere, la sinistra italiana abbia paura di essere di sinistra, schiacciandosi su posizioni di centro come la diminuzione delle tasse. Un punto esemplificato dal sostegno alla cosiddetta “agenda Draghi”, che non ha certamente governato secondo crismi della sinistra politica. Le classi dei lavoratori sembrano molto più attratte da FdI e dalla Lega, anche se un tema di fondamentale importanza che è rimasto sullo sfondo è l’enorme astensionismo e in particolare l’astensionismo giovanile. Philippe Willan ha proposto un’analisi secondo la quale l’Italia è pioniera dei cambiamenti politici dal dopo-guerra fredda, anticipando tutti i mutamenti che poi sono accaduti nel resto dell’Occidente, come la personificazione delle fazioni politiche e, oggi, la disintegrazione della democrazia liberale. Anche nel resto del mondo occidentale i partiti di centrosinistra vengono sempre più visti come elitari, mentre la destra sociale porta avanti le istanze dei lavoratori. Secondo Andrew Spannaus stiamo assistendo a un cambiamento di paradigma generale in questo senso.

LE MANCANZE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE

Il Presidente della John Cabot University Franco Pavoncello è intervenuto ricordando che le riforme che sarebbero dovute essere attuate dal governo Draghi in cambio dei fondi del NextGen EU non sono state completate. Ha ricordato che l’Italia, a suo dire, soffre di due problemi strutturali, ovvero l’incertezza della giustizia e la discrezionalità della burocrazia. Se non si riusciranno ad affrontare questi temi, si arriverà in qualche decennio ad avere sostanzialmente uno stato fallito. Alla domanda della moderatrice su quali fossero i temi rimasti nel silenzio durante la campagna elettorale, i presenti hanno evidenziato diverse questioni. I rapporti di Lega e FdI con la Federazione Russa hanno fatto notizia, ma non vi è stato un reale dibattito, così come non si è mai approfondito cosa il partito di Meloni intenda fare concretamente per aumentare il tasso di natalità, proposta centrale dell’agenda meloniana. Nessun partito ha fatto un discorso serio a proposito della mancanza di meritocrazia nel Paese e la conseguente fuga di cervelli, così come non si sono sentiti dibatti sul cambiamento climatico.

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