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Stati Uniti d’Europa per una fiscalità comune. Parla Giovannini (Più Europa)

Il responsabile economico del partito di Emma Bonino, Alessandro Giovannini, capolista in Toscana: “Le imprese generano ricchezza e lavoro e vanno tutelate con una tassazione equa”

È il prof. di +Europa. E ha scelto un momento storico piuttosto complicato per la sua prima candidatura al Parlamento. “Sì, ma l’ho fatto proprio per questo”, dice a Formiche.net. “Per mettere a disposizione del Paese le mie competenze in un periodo di grave difficoltà per le finanze pubbliche”. Alessandro Giovannini, 60 anni, toscano, è docente di Diritto tributario nella facoltà di Economia dell’università di Siena. Ed è capolista del partito di Emma Bonino nel collegio proporzionale alla Camera di Livorno-Arezzo-Grosseto-Siena. Giovannini, insieme con Benedetto Della Vedova, è la mente economica di +Europa.

Professore, in questo scenario di incertezza globale, tra guerra in Ucraina, caro energia e caro bollette, da dove siete partiti per stilare il programma economico di +Europa?

Personalmente sono partito dalla tassazione. La ricchezza, principalmente, viene generata dalle imprese, alle quali va garantita una tassazione equa, anche perché garantiscono lavoro. Tutto questo ha un convitato: il fisco. Non solo per le aliquote, ma il fisco ha più occhi, usa più mani. Ha un costo di decine di miliardi aggiuntivi sulle imprese rispetto al prelievo.

Stati Uniti d’Europa: che cosa comporterebbero dal punto di vista economico?

Avrebbero una ripercussione rilevante soprattutto sul piano fiscale, attuando una serie di trattati internazionali che sono lì che aspettano di essere adottati dall’Ue, come il contrasto all’evasione internazionale e alla tassazione delle nuove economie. Il traguardo politico di un un’unione degli Stati federati d’Europa avrebbe come primo effetto proprio la creazione di una fiscalità comune.

L’Italia, si legge nel programma di +Europa, deve sedersi al tavolo franco-tedesco alla pari. In che modo può farlo?

Seguendo l’esempio del governo di Mario Draghi. Occorre riconquistare una forte credibilità internazionale, soprattutto sulla tenuta dei conti pubblici e sugli investimenti nell’economia reale che ci possano consentire di sederci al tavolo dei grandi.

L’export, nel sistema economico italiano, è già un’eccellenza. Si può migliorare? Se sì, come?

Attraverso una serie ulteriore di misure di sostegno del made in Italy e tramite un miglioramento infrastrutturale. Penso a una grande portualità. E quindi alla possibilità, per le merci, di navigare in maniera più fluida verso altri Paesi o di entrare in Europa grazie alla piattaforma Italia. E in questo caso, più di export, parleremmo di import. E poi, anche in questa circostanza, servirebbero azioni fiscali volte ad agevolare investimenti sull’esportazione. Poi c’è il settore agricolo, spesso ignorato e dimenticato, ma che è essenziale.

Per il debito italiano proponete il congelamento della spesa pubblica. Che cosa significa nel dettaglio?

Come +Europa proponiamo una revisione della spesa corrente, con una riduzione di alcune voci, a cominciare dai bonus e da quel mare magnum che sono le tax expenditures, del valore di 70 miliardi all’anno. Intendiamo abbassare le spese assistenziali mascherate, cioè che in realtà non sono tali, prevedendo, per esempio, una profonda revisione del Reddito di cittadinanza, con un risparmio ipotizzato in 5 miliardi già dal 2023. Inoltre suggeriamo un blocco nell’indebitamento, a meno che non sia diretto all’investimento. Un indebitamento buono, come lo chiamerebbe Draghi. Alcuni interventi sono già previsti dal Pnrr, ma altri mancano, come il completamento dell’autostrada Tirrenica.

Questione energetica. Da primo firmatario del comitato promotore per il rigassificatore di Piombino: perché è necessario?

Perché è un’opera strategica per il fabbisogno energetico nazionale. Permetterebbe di sopperire all’importazione del gas russo per il 13% e garantirebbe una serie di nuovi posti di lavoro, circa 1.100, e non è cosa da poco. Inoltre assicurerebbe al fabbisogno energetico nazionale una quota del 7%. Impedirne la realizzazione, che ovviamente avverrebbe con tutte le garanzie ambientali e di sicurezza per i cittadini, andrebbe contro gli interessi del Paese.

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