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Tetto agli stipendi pubblici, ruoli e compensi spiegati da Morelli e Paganini

Di Raffaello Morelli e Pietro Paganini
cessione del quinto dello stipendio

Lo stipendio dei dirigenti pubblici non deve superare quello del Presidente della Repubblica a cui deve essere parametrato. Non è una questione morale. Il tetto ai salari riguarda due problemi diversi: il ruolo attribuito a chi svolge funzioni pubbliche e la retribuzione rispetto a quel ruolo. Il pubblico è perciò diverso dal privato. Così, i compensi del primo non possono riferirsi unicamente al criterio della produttività. Ecco perché

La Commissione Bilancio del Senato ha approfittato del Decreto Aiuti Bis per eliminare la norma che limita il tetto al salario dei dirigenti pubblici. Si è scatenata la legittima indignazione dell’opinione pubblica. I Deputati sono immediatamente intervenuti alla Camera per bloccare la meschina furberia dei Senatori. Il dibattito che ne è seguito non ha centrato il problema e si è impantanato sull’emotività della questione morale.

Il tetto ai salari riguarda due questioni tra loro legate ma che vanno analizzate distintamente: il ruolo attribuito a chi svolge funzioni pubbliche e la retribuzione rispetto a quel ruolo.

Il dipendente pubblico, in particolare se di alto livello, riveste un ruolo che gli garantisce un potere e un prestigio maggiori rispetto ad un normale cittadino. È il fisiologico riflesso dei compiti di garanzia e di equilibrio riservati allo Stato nel tutelare la convivenza democratica.

Tale privilegio fa parte automaticamente del compenso per il compito svolto e non può che rientrare nell’ambito delle relative norme dell’intero Stato. Il Presidente della Repubblica è il più alto funzionario quanto a responsabilità. Le retribuzioni di tutti i funzionari pubblici devono essere parametrate al compenso del Presidente.

Il ruolo dei dipendenti pubblici è quindi diverso da quello dei dipendenti di un’organizzazione che non è lo Stato.
Non vale perciò la teoria per cui il compenso di un pubblico possa salire e scendere in funzione della produttività.

Nel privato il criterio di produttività, in vero insieme ad altre variabili, condiziona i salari. La produttività è misurabile secondo criteri che i vari organi interni ed esterni all’organizzazione, stabiliscono di volta in volta.
Nel pubblico la produttività può essere impiegata per misurare le prestazioni dei dipendenti pubblici nell’erogare un servizio. Tuttavia, la funzione che lo Statale detiene va oltre la concezione classica di produttività. Egli eroga un servizio che promuove la Libertà.

La produttività è stata iniettata nei processi organizzativi della PA con provvedimenti rivoluzionari e investimenti sontuosi, ma gli esiti sono stati deludenti.

La ragione è semplice. Il dipendente pubblico male interpreta il privilegio che il ruolo gli conferisce. Non si è mai posto come strumento di garanzia necessario a promuovere le Libertà del cittadino, ma come funzione da cui dipendono i diritti degli individui. È la solita dicotomia tra cittadini e sudditi.

Più lo Stato sovrasta gli individui dettando attraverso la pubblica amministrazione i loro comportamenti, e più il suo funzionamento sfuggirà al controllo dei cittadini che invocheranno la morale.

Nella tradizione dello Stato dei sudditi solo la morale infatti, può indurre il dipendente pubblico all’efficienza. Ma i fatti della vita ci dimostrano continuamente che l’uomo è lupo per l’uomo, per cui la morale tende all’inefficacia.

Si conferma che il problema non è morale ma politico, perché riguarda la concezione dello Stato. Chi si affida al metodo Liberale è convinto sperimentalmente che se lo Stato è al servizio e tutela delle Libertà dei cittadini, il suo ruolo si diversifica e si limita di molto, e gli individui hanno il totale controllo della produttività della macchina pubblica. Essa non solo è chiamata all’efficienza ma anche alla trasparenza.

Ma in troppi, come queste elezioni dimostrano, non si affidano al metodo Liberale, preferendo credere alla morale dello Stato. Sconfessati dai fatti della realtà, dell’uomo lupo, finiscono come era successo in Senato, per imbrogliare il cittadino pur di godere del privilegio che l’amministrazione pubblica garantisce quando non è al servizio del cittadino.

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