“Mai si era vista” un’unità politica simile in Europa, spiega il capo della diplomazia della Repubblica Ceca, alla guida del Consiglio dell’Ue nel semestre in corso. Un colloquio su Russia, Cina, energia e Africa. “Abbiamo un ottimo rapporto con l’Italia, ciò vale anche per il governo di Draghi e per il mio collega Luigi Di Maio”, afferma a Formiche.net
L’Europa è unita, la Russia di Vladimir Putin sta perdendo e l’Ucraina vincerà. Non ha dubbi Jan Lipavský, ministro degli Esteri della Repubblica Ceca, in questa intervista esclusiva a Formiche.net.
“Gestione della crisi dei rifugiati e ripresa post-bellica dell’Ucraina”. Recita così il primo punto della presidenza ceca del Consiglio dell’Unione europea. Come valuta la risposta dell’Unione europea all’invasione russa finora?
La risposta dell’Unione europea è complessa e non è certamente un processo concluso: siamo nel bel mezzo di una guerra e l’Europa è riuscita a mettere in atto una politica forte contro la Russia. E questo è un buon segnale. Il messaggio positivo è che l’Europa è unita, la Russia sta perdendo e l’Ucraina vincerà e sarà in grado di proteggere la sua integrità territoriale e la sua sovranità. Ma non siamo ancora a quel punto. Dobbiamo rimanere forti e uniti.
Tra i 27, però, ci sono spesso approcci diversi, a volte divergenti.
L’Europa è riuscita a mettersi d’accordo per inviare all’Ucraina armi per un valore di 2 miliardi di euro. Mai si era vista una politica del genere. Ci sono milioni di rifugiati ucraini, fuggiti dall’Ucraina a causa della della distruzione delle città da parte dell’esercito russo, siamo anche stati testimoni di uccisioni di massa a Bucha. L’Europa unita è stata in grado di dare aiuto a questi rifugiati, anche questa è stata una politica europea. Abbiamo un flusso di attività e di aiuti macro-finanziari e dobbiamo continuare a fornire aiuti umanitari all’Ucraina, con l’inverno alle porte. Molte questioni sono ancora aperte, l’unità è fondamentale. E nonostante discussioni nell’Unione europea e disaccordi interni, alla fine abbiamo una forte posizione unitaria e vorrei insistere su questo punto.
Proteste come quelle a cui abbiamo assistito a Praga e a Napoli per l’aumento dei prezzi dell’energia possono minare questa unità?
Putin ha deciso di usare le forniture energetiche come arma ibrida contro l’Europa. Per questo, ora assistiamo a una certa sfiducia nelle nostre società che con manifestazioni di massa che di solito non sarebbero state così partecipate. Dobbiamo comprendere che l’aumento del costo della vita è qualcosa che può mettere in pericolo l’unità della società e il tessuto della società democratica. Dobbiamo quindi risolvere la crisi energetica il prima possibile. La presidenza ceca sta facendo tutto il possibile per trovare una soluzione adeguata a questa situazione. Dall’altra parte, non possiamo permettere che l’Europa venga ricattata da Putin. Serve una soluzione per non dipendere più dal gas e dal petrolio della Russia.
Il price cap, adottato dal suo governo, può essere una soluzione?
Non sono ministro dell’Energia, ma questa è una soluzione che porta stabilità alle famiglie e alle piccole e medie imprese. Abbiamo molte risorse energetiche, dobbiamo solo gestirle in modo adeguato. Il mercato non è riuscito a fornire questa regolamentazione. Quindi ora, forse per quest’inverno, forse anche per l’inverno successivo, dobbiamo adottare alcune misure straordinarie per portare serenità nella società. E sicuramente non c’è spazio per negoziare con Putin. Su qualsiasi cosa.
Non ci sono spazi a livello diplomatico?
È nostro interesse che l’Ucraina sia in grado di proteggere i suoi soldati, la sua integrità e la sua sovranità. Le ambizioni imperiali della Russia non si fermano all’Ucraina. Sappiamo già che stavano parlando di Moldavia, Baltici, Polonia, e poi c’è la Repubblica Ceca. La Russia ha controllato l’Europa centrale per 40 anni e noi non vogliamo che ciò si ripeta. Quindi dobbiamo fermare la Russia il più lontano possibile dall’Europa. E questo è, credo, anche una preoccupazione degli italiani, perché la trappola russa in realtà è molto più vicina di quanto si possa immaginare.
Lei ha parlato di integrità dell’Ucraina. Dunque, quale futuro per la Crimea?
La Crimea è parte dell’Ucraina, rubata dalla Russia nel 2014. Abbiamo una serie di regole internazionali che proibiscono di cambiare i confini internazionali per legge. È la Carta delle Nazioni Unite. Inoltre, c’è il processo di Helsinki iniziato negli anni Sessanta e stato concordato dai Paesi occidentali e da quelli del blocco sovietico. Quindi, in questo caso, Putin è in questo senso molto peggio di Leonid Brezhnev.
La Crimea è una linea rossa?
Non definirei la Crimea una linea rossa, è parte dell’Ucraina. Sarebbe come mettere in discussione l’appartenenza della Sicilia all’Italia perché degli omini verdi sono comparsi e hanno organizzato un referendum pretendendo di far parte di un altro Stato. Credo sarebbe interesse dell’Italia e dell’intera architettura europea di sicurezza che si mantenga questo principio.
La guerra in Ucraina e la risposta europea hanno rilanciato il tema della difesa europea. L’idea di un’autonomia strategica europea come via indipendente ha lasciato lo spazio a un approccio più transatlantico?
Dobbiamo coinvolgere gli Stati Uniti. E non solo gli Stati Uniti. Anche il Canada, il Giappone e l’Australia. I rischi per il futuro non riguardano soltanto il comportamento aggressivo della Russia, ma anche le politiche a lungo termine che dobbiamo adottare per guardare con molta cautela alla Cina. La cooperazione transatlantica è fondamentale per il funzionamento della Nato, ma è anche molto importante per l’Unione europea. Ciò è alla base della Bussola strategica dell’Unione europea e del Concetto strategico della Nato recentemente approvati. Entrambi i documenti invitano a un’azione transatlantica, che porti fondamentalmente all’unità strategica di entrambe le organizzazioni. Non possiamo permetterci il lusso di avere solo una politica europea, poiché gli Stati Uniti e gli altri partner democratici in questo mondo sono alleati indispensabili e dobbiamo cooperare con essi. Ciò non significa che si debba avere la stessa opinione su tutto. Ma che dobbiamo continuare ad avere un forte legame, una forte cooperazione e un forte dialogo.
L’asse transatlantico è più forte oggi con Joe Biden alla Casa Bianca rispetto ai tempi di Donald Trump?
Certamente. Gli Stati Uniti sono il nostro partner chiave per la sicurezza in Europa, e lo vediamo ogni giorno in Ucraina quando gli ucraini riescono a riconquistare il territorio dall’esercito russo anche grazie alle armi fornite dagli Stati Uniti ma anche da molti Stati europei, tra cui la Repubblica Ceca.
Crede che stiamo andando verso un mondo segnato da un confronto tra modelli, democrazie da una parte e autocrazie dall’altra?
Credo che ci troviamo in un’epoca in cui l’idea di un mondo globalizzato che si trasformerà in un mondo più democratico e liberale attraverso il commercio globale non si sta realizzando. Soprattutto negli anni Novanta e nei decenni successivi, abbiamo visto che grandi regimi illiberali come la Russia e la Cina non stanno cambiando dopo che l’Occidente ha aperto loro i suoi canali commerciali. Dobbiamo riflettere su questo ed essere pronti a difendere i nostri valori, la nostra democrazia ma anche cose molto basilari come la libertà di parola, le elezioni democratiche. E questo è qualcosa che la guerra coloniale russa contro l’Ucraina ci sta mostrando.
Anche all’interno dell’Unione europea ci sono regimi cosiddetti illiberali, come l’Ungheria. Può essere un virus che contagia per il resto dell’Unione?
Credo nello spirito della creatività umana e nel bisogno umano di liberarsi da qualsiasi tipo di cambiamento. E credo ancora che le liberaldemocrazie siano il migliore dei peggiori sistemi, come diceva Winston Churchill. Oggi stiamo assistendo alle minacce di politici illiberali che chiedono di cambiare la democrazia in qualcosa di diverso, non lo chiamerei virus. Direi che dobbiamo trovare una ricetta per mantenere la nostra società a favore della democrazia, perché in fin dei conti è il modo migliore per governare.
Parliamo di Africa, tema al centro di una recente riunione informale dei ministeri degli Esteri dell’Unione europea. Come fronteggiare la presenza russa, resa possibile anche da gruppi come Wagner in Paesi come la Libia, ma non soltanto?
Dovremmo iniziare con l’affermare che Wagner fa parte dello Stato russo, assunta per diversi tipi di lavoro. Non sono assunti autonomamente dai regimi africani e fanno parte delle politiche russe in Africa. La questione riguarda la Libia, per esempio, il Mali e molti altri Stati. È una regione fortemente interessata alla crisi alimentare causata dalla guerra di Putin contro l’Ucraina. È un compito importante per tutti gli Stati europei condurre un’azione diplomatica nei confronti di questi Paesi, pensare a come cambiare le nostre politiche in termini di sviluppo e di aiuti umanitari. In questo modo saremo in grado di far capire all’opinione pubblica e ai leader africani che siamo importanti. Inoltre, dobbiamo pensare molto attivamente alle misure di sicurezza in Nord Africa. Perché non si tratta solo dell’influenza russa, ma anche di quella del terrorismo islamico, che sta prendendo piede in questa regione.
Poi c’è la Cina, con la sua Belt and Road Initiative (Via della Seta). A dicembre l’Unione europea ha presentato l’iniziativa di connettività Global Gateway promettendo di mobilitare fino a 300 miliardi di euro di investimenti in digitale, energia, trasporti, salute, istruzione e ricerca. È sufficiente?
È importante il progetto Global Gateway. Non ne ho ancora esaminato i risultati e forse è troppo presto per chiedere risultati concreti. L’Unione europea è un meccanismo complesso: 27 Stati, istituzioni, molti bilanci. Questo è fondamentalmente un tentativo di razionalizzare il tutto in una serie di attività più chiare. A dire il vero, quest’anno, inoltre, la maggior parte dell’attenzione dei ministri degli Esteri va verso l’Ucraina. Spero quindi di rivedere questa politica al più presto.
A proposito di Cina, la Repubblica Ceca sta valutando l’uscita dall’iniziativa 16+1?
Attualmente l’iniziativa 16+1 è piuttosto molto inattiva. Come Repubblica Ceca, non vediamo molti vantaggi nel farne parte. Il governo sta quindi rivedendo le relazioni con la Cina. Poiché abbiamo un’eredità del precedente governo, stiamo esaminando la situazione attuale. Quindi, c’è ancora molto da fare.
Non credete a quella che la Cina definisce cooperazione “win-win”?
Non so quale sia stata la motivazione originaria che ha spinto la Cina a lanciare questa iniziativa. Ma attualmente è piuttosto inattiva. Per la diplomazia ceca e la politica estera ceca, sarebbe molto utile avere un dialogo collettivo con la Cina che faccia riferimento a Bruxelles.
Manca una settimana alle elezioni italiane. Che giudizio dà dell’operato del governo di Mario Draghi?
Non sono nella posizione di commentare le elezioni ma posso affermare che abbiamo un ottimo rapporto con l’Italia. Ciò vale anche per il governo di Draghi e per il mio collega Luigi Di Maio.