L’attivismo cinese nell’Oceano Pacifico costringe gli Stati Uniti a occuparsi delle nazioni dell’area, preoccupate molto di più di ottenere aiuti per contrastare il cambiamento climatico che non dall’espansionismo di Pechino
Il Presidente Biden sta ricevendo a Washington in questi giorni le delegazioni di una serie di Nazioni dell’Oceano Pacifico. Partecipano al summit le Fiji, le Isole Marshall, la Micronesia, Palau, la Papua Nuova Guinea, Samoa, le Isole Salomone, Tonga, Tuvalu, le Isole Cook, la Polinesia Francese, la Caledonia, Vanuatu, Nauru, l’Australia, la Nuova Zelanda. Tema dell’incontro l’assertività cinese nell’area del Pacifico, sia economica sia militare, e il cambiamento climatico, che queste Isole vivono come problema prioritario.
Le rappresentanze incontreranno il Presidente degli Stati Uniti, la speaker della Camera Nancy Pelosi, la Segretaria al Commercio Gina Raimondo e una serie di personaggi del mondo degli affari. Il Segretario di Stato Anthony Blinken ha affermato che l’incontro riflette la profonda partnership che lega gli Stati Uniti a questi Paesi, segnata da legami storici e valoriali. Riflette anche, naturalmente, la proiezione marittima che Washington intende mantenere, per non lasciare spazi a Pechino, che sta invece sfruttando la diminuita attenzione americana verso l’area dopo la Guerra Fredda.
Per l’amministrazione Biden il principale elemento di interesse è il contenimento della Repubblica Popolare, ma la maggior parte delle Isole del Pacifico hanno un problema più impellente: il cambiamento climatico. Il Primo Ministro di Tuvalu ha parlato alle Nazioni Unite settimana scorsa, descrivendo come l’innalzamento del livello del mare sta spazzando via le infrastrutture dell’isola, rovinando i terreni agricoli, e forzando la popolazione a lasciare l’isola mentre la nazione scompare. A giugno, il ministro della difesa delle Isole Fiji aveva affermato “le mitragliatrici, i jet, le navi e i battaglioni non sono il nostro principale problema di sicurezza (…) ma la minaccia esistenziale è il cambiamento climatico”.
Washington e Londra sono preoccupati dall’atteggiamento delle Isole Salomone che ad aprile hanno siglato un patto di sicurezza con la Cina, oltre a sembrare scarsamente interessate a siglare una dichiarazione congiunta al termine del summit. A settembre hanno chiesto ad americani e inglesi di non inviare navi militari nel Sud Pacifico finché i processi di approvazione non saranno completati. Episodi che hanno spinto l’amministrazione Biden a concentrarsi di più sulla regione. Alcuni analisti sostengono che, se è vero che le Isole Salomone hanno stretto i rapporti con Pechino, è altrettanto sicuro che giochino su due piani, utilizzando la vicinanza alla Cina come leva negoziale per ottenere più aiuti economici da Washington. Questo è un elemento che accomuna un po’ tutti i piccoli Stati della zona, che hanno urgente bisogno di aiuto per contrastare l’innalzamento dei mari.
Un funzionario dell’amministrazione presidenziale ha riferito che questo è il tema che emerge ad ogni riunione con i Paesi dell’area, e che la Casa Bianca annuncerà presto la sua prima Strategia per le Isole del Pacifico e nominerà un inviato speciale al Pacific Islands Forum.
L’altro dossier spinoso è quello delle Isole Marshall. Il Paese ha sempre mantenuto buoni rapporti con gli Stati Uniti, ma oggi le tensioni si concentrano soprattutto sulla richiesta che Washington si spenda di più per le riparazioni a seguito delle conseguenze dei test nucleari condotti su quelle isole negli anni Quaranta e Cinquanta. Gli Stati Uniti hanno trattato le Isole Marshall, insieme alle vicine Micronesia e Palau, come territori americani fin dalla Seconda Guerra Mondiale, e gli osservatori temono che un indebolimento di questi legami farebbe il gioco della Cina.
La presidenza Biden ha cercato di aumentare la presenza nell’area. A febbraio Blinken ha visitato le Fiji, la prima visita di un Segretario di Stato americano in trentasette anni. Inoltre è stato creato un gruppo di cooperazione informale chiamato Partners in Blue Pacific con l’intento di potenziare i legami diplomatici e commerciali, diretto da Stati Uniti, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Regno Unito.