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Così l’Ambasciatore Aldo Amati saluta Varsavia

Di Giulia Gigante

Il mandato di Aldo Amati, Ambasciatore d’Italia a Varsavia dal 2018,  sta per volgere al termine. Prima di rientrare in Italia, decide di rilasciare alcune dichiarazioni in merito al cospicuo interscambio registrato tra i due Paesi, all’evoluzione dei rapporti bilaterali e della cooperazione in campo commerciale, e  allo stato di diritto che sventola come la muleta sotto il naso di Bruxelles

Aldo Amati non è un ambasciatore con l’abito impigliato nella retorica perbenista. Ha interpretato la sua missione come uno strumento per innervare e connettere la presenza italiana all’estero, entrando a fondo nelle realtà di Praga e poi Varsavia. L’ho conosciuto circa tre anni fa, proprio nella capitale polacca, e da allora è nato uno scambio di idee e opinioni. Ciò che attira a prima vista non è il simpatico e malcelato accento bergamasco, ma la sua capacità di creare ponti e legami con l’interlocutore. L’Ambasciata d’Italia a Varsavia, durante il suo mandato, non è stato un museo affollato da reperti e fossili, bensì la casa degli italiani sul suolo polacco, nel senso più vero e profondo di casa. Qui ho avuto l’occasione di intervistarlo, subito dopo una conferenza su “Europa, comunità nazionali e pace”, durante la quale incitava gli studenti di italianistica a rompere gli argini del “politicamente corretto” e a porgere domande, dubbi e riflessioni in piena libertà. Anche se scomode o puntigliose.

Il suo mandato sta per volgere al termine. Com’è mutata la situazione dal suo arrivo?

Quando sono arrivato i dati registravano 21 miliardi di interscambio, adesso abbiamo toccato i 28. Certamente non è merito mio, io ho soltanto cercato di accompagnare la tendenza positiva con varie iniziative. Le nostre esportazioni sono aumentate ovunque, soprattutto in Polonia, un mercato privilegiato per le piccole e medie imprese italiane. In questi quattro anni, ho vissuto purtroppo il periodo pandemico che per più di un anno ha caratterizzato il mio mandato, fortunatamente non ha avuto un impatto sostanziale sull’afflusso di investimenti e aziende in Polonia. Abbiamo allargato i settori di cooperazione dai macchinari al settore farmaceutico, a quello aerospaziale e della trasformazione energetica. L’ultima firma del contratto tra Leonardo e il ministero della Difesa polacca è la prova più evidente di una maggiore penetrazione in questo mercato. Poi vi sono settori come la ristorazione che hanno visto un notevole sviluppo, non soltanto a Varsavia, ma in tutto il Paese. Quindi, sicuramente, parliamo di un bilancio soddisfacente dal punto di vista economico e commerciale.

E dal punto di vista politico?

Iniziamo col dire che i ministri economici italiani sono venuti a Varsavia, assieme a un considerevole numero di associazioni imprenditoriali, le quali hanno intuito l’importanza del mercato polacco. Mi spiace che non si sia riusciti a portare a Varsavia il Ministro degli Esteri. Ma questa assenza è stata colmata da diversi incontri svoltisi a Roma. Tutto sommato, il traino economico ha portato con sé anche la parte politica. Non possiamo lamentarci. I capi di Stato si sono incontrati spesso nella capitale italiana, così come i primi ministri, al di là delle riunioni in programma a Bruxelles, si sono incontrati in più occasioni. Diciamo che ci sono sempre delle potenzialità da sfruttare e sono sicuro che il governo guidato da Giorgia Meloni inaugurerà una fase di rapporti continui non soltanto al vertice ma anche tra ministeri, istituzioni pubbliche e associazioni imprenditoriali. Con il ministro degli Esteri polacco Rau che ho incontrato proprio ieri, abbiamo concordato sulla necessità di rimettere in piedi il Vertice intergovernativo essenziale per coltivare i comuni interessi anche a livello europeo.

Impossibile non toccare un argomento che continua a far sobbalzare il vecchio continente. Ci dica qualcosa in merito alla disputa tra Varsavia e Bruxelles sullo stato di diritto.

Ritengo che il mancato raggiungimento di un accordo sarebbe uno scacco per entrambi, sia per la Polonia che per le istituzioni comunitarie. È necessario giungere a una mediazione affinché sia consentito il rilascio di alcuni fondi, soprattutto del Recovery Plan, perché i fondi del bilancio dovrebbero essere erogati nella primavera del 2023. Occorre che entrambe le parti dimostrino buona volontà in tal senso, anche a costo di perdere o guardare con minore attenzione all’agenda di politica interna, e d’altra parte bisogna comprendere che la Polonia ha compiuto uno sforzo enorme nell’accettare milioni di ucraini. Il premier Morawiecki ha parlato di due milioni di rifugiati (in aggiunta al milione e mezzo già presente) che hanno deciso di rimanere in Polonia almeno fino alla fine del conflitto in Ucraina. Tutto ciò crea qualche tensione soprattutto sui sistemi scolastico e sanitario e c’è da sperare che nel tempo non si assista a un rigetto significativo da parte della società polacca.

A proposito, qual è il ruolo della Polonia nel conflitto russo-ucraino?

 La Polonia sta già giocando un ruolo fondamentale non soltanto in un’ottica geopolitica, ma anche come “hub” per la raccolta di armamenti diretti in Ucraina.  Non dimentichiamo che gran parte degli armamenti in mano agli ucraini provengono dall’Europa centro-orientale. Poi, naturalmente, c’è il contributo tecnologicamente essenziale degli Stati Uniti. Il ruolo della Polonia è dunque cruciale e imprescindibile per il successo finale dello sforzo ucraino e Varsavia alla fine del conflitto eserciterà un’influenza anche sugli equilibri politico-economici oltre frontiera. Non dimentichiamo quante volte il Presidente ucraino Zelenski ha ripetuto che la Polonia è l’alleato privilegiato.

Quali sono i punti di convergenza tra i nostri due Paesi e quali i contrasti che ci dividono?

I punti i di contatto sono tantissimi per un semplice motivo: i polacchi amano tutto ciò che è italiano. Indipendentemente dalle diverse contingenze politiche, esiste un afflato pro-Italia visto che, per la comunità polacca, il nostro Paese rappresenta una specie di sogno da sempre. Città d’arte, località sciistiche, di mare e l’offerta culinaria proiettano il nostro Paese sopra ogni concorrenza. Per quanto concerne i punti di divergenza, non ne vedo molti. Piuttosto esistono ancora degli stereotipi reciproci che vengono puntualmente smontati dai viaggi tra i due Paesi soprattutto dalle generazioni più giovani. Da parte italiana dovremmo investire di più nell’insegnamento della nostra lingua su tutto il territorio polacco: la domanda è crescente e si creerebbe una ulteriore “fidelizzazione” dal basso nei confronti del nostro Paese.

La Sirena di Varsavia

Cosa le mancherà di più della sua missione in Polonia?

Scoprire il territorio polacco in cui, al di là delle note Cracovia, Danzica o Breslavia, sono nascoste piccole città d’arte gioiello come Torun, Kasimierz Dolny, Zamosc dove gli italiani hanno lasciato tracce preziose. A Varsavia mi mancherà la musica che risuona al Teatro Wielki o alla Filarmonica, le passeggiate nel meraviglioso Parco Łazienki, i numerosi teatri, alcuni locali jazz e blues nel quartiere Praga.

Rinunciare al canto della Sirena non è  facile…

Esatto. Comunque porto con me un dono speciale che mi ha fatto la terra polacca: la mia compagna Ewa.


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