È ufficiale lo stop europeo alla vendita di nuove auto inquinanti dal 2035. Una scelta di direzione che spaventa il settore. Ma, come spiega Carlo Tritto (Transport & Environment), potrebbe essere l’unica via per salvaguardare la competitività dei produttori europei e non farsi bruciare in partenza dai rivali
Con l’accordo di giovedì, Commissione, Consiglio e Parlamento europei hanno di fatto segnato il destino delle automobili a motore endotermico in Ue – superando le resistenze di politici tedeschi e leader industriali. A partire dal 2035 sarà consentito vendere solo auto e furgoni nuovi a zero emissioni. L’obiettivo a lungo termine (ossia il 2050) è sostituire l’intera flotta europea con veicoli non inquinanti, abbattendo il 16% delle emissioni climalteranti dell’Unione.
Il grande tema, naturalmente, è l’impatto che questa misura avrà sul comparto automobilistico europeo – uno dei gioielli della corona del Vecchio continente. Per Franz Timmermans, responsabile del Green Deal europeo, l’accordo “invia un segnale forte all’industria e ai consumatori: l’Europa sta abbracciando il passaggio a una mobilità a emissioni zero”. Cosa già evidente dalle mosse del settore: la maggior parte delle case automobilistiche ha anticipato l’obiettivo 2035 annunciando l’elettrificazione della propria flotta nel prossimo decennio.
Molto più scettici, invece, i responsabili delle filiere industriali, che temono di rimanere col cerino in mano. Ma la loro sopravvivenza potrebbe non dipendere dalla fine del motore termico. Sullo sfondo c’è lo spettro di una competizione globale sanguinaria. Altri Paesi hanno già adottato misure per favorire i rispettivi mercati dei veicoli elettrici (VE) sia dal lato della domanda che e da quello dell’offerta. E i produttori europei rischiano di perdere competitività rispetto ai rivali americani – con cui l’Ue ha appena aperto un tavolo di discussione – e soprattutto quelli cinesi, che possono contare su un’industria più giovane e agile, ingenti sussidi statali e la presa saldissima di Pechino sulla filiera delle batterie.
Gli effetti sono già evidenti, rimarca Carlo Tritto di Transport & Environment, il think tank europeo di riferimento per la mobilità sostenibile. “La domanda per i VE è evidente. Cresce perché è una rivoluzione tecnologica in corso, e come tutte le rivoluzioni tecnologiche non si può fermare.” Ma nella stessa Europa le vendite di VE europei sono in lieve discesa, mentre quelle dei marchi cinesi stanno crescendo: quest’anno sono il 5% dei VE “puri” venduti, T&E stima che nel 2025 potrebbero essere tra il 9 e il 18%.
La minaccia è talmente concreta da aver spinto il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, a invocare nuovi dazi sui marchi cinesi per proteggere i produttori europei. “Di solito è difficile trovarci allineati con i costruttori,” commenta Tritto, “ma stavolta siamo d’accordo sul fatto che sia necessaria molta più attenzione sul lato delle policy”. Anche T&E auspica misure sul lato dell’offerta che stimolino il reshoring europeo del comparto batterie e dell’assemblaggio di veicoli, per assicurare di mantenere in Europa il patrimonio di posti di lavoro e investimenti. Ma a monte serve una scelta di direzione. “L’accordo di ieri, in questo senso, fornisce un’indicazione chiara: elettrici, e spediti”.
Pechino, così come Washington, ha interpretato il momento e si è mossa di conseguenza. L’industria di VE cinese è in rapida ascesa perché lo Stato è riuscito a fornire delle garanzie ai propri costruttori mediante policy mirate, quote minime di vendite (quest’anno già il 16%, l’anno prossimo anche il 18%), fiscalità rivista per aumentare la domanda e una strategia generale più ambiziosa. Di fronte a questa chiarezza regolatoria, sostiene l’esperto, i costruttori sono stimolati a produrre e sviluppare know-how.
Ci sono dei precedenti anche in Ue: “l’entrata in vigore dei target di emissione 2020-2021 ha portato i VE puri a raggiungere il 13% delle vendite in Ue, un record storico”. Seguendo questa logica, persino i prossimi obiettivi europei (2025 e 2030) non sono abbastanza ambiziosi: secondo Tritto “bisogna accelerare maggiormente e senza esitazioni sulla produzione elettrica europea entro il decennio, per evitare di far perdere ai costruttori europei quella leadership che stavano già costruendo – anche grazie agli standard avanzati dell’Ue”.
La soluzione, conclude l’esperto di T&E, è che l’Ue e gli Stati membri premano sull’acceleratore con misure politiche coerenti e in grado di favorire l’elettrificazione. Infrastrutture di ricarica, fiscalità (nel caso dell’Italia, “la detassazione aziendale in legge di bilancio è ben auspicata”). Creare il mercato secondario, incentivando il leasing sociale sulla scia di Emmanuel Macron e l’elettrificazione delle flotte aziendali, che grazie al loro elevato tasso di ricambio permette di far circolare gli usati in tempi brevi e abbattere i costi dei VE che sono ancora molto più elevati rispetto alle auto a motore termico. Infine, servono attenzione e investimenti sulle filiere-chiave, come quelle dell’estrazione e del riciclo del litio per le batterie, che possono e devono essere internalizzate per aiutare l’Ue a ridurre la dipendenza dai Paesi terzi.