Le misure di reshoring volute da Biden penalizzano l’industria dei partner e hanno già suscitato l’ira degli europei, di cui Macron ha deciso di farsi interprete. Il rischio è una frattura nell’unità transatlantica, faticosamente ricostruita negli ultimi anni, e un conflitto economico in cui l’unico vincitore sarà la Cina
Quando Joe Biden fu eletto nel 2020, molti su entrambe le sponde dell’Atlantico tirarono un sospiro di sollievo. Nei mesi successivi i partner europei e americani hanno lavorato per ricucire le relazioni sfilacciate dal confronto commerciale tra l’ex presidente Donald Trump e i leader del Vecchio continente. Nel giro di un anno Washington e Bruxelles hanno raggiunto una tregua sui dazi che quest’ultimo impose su acciaio e alluminio europei, il segnale più evidente di una cooperazione multisettoriale di nuovo in attività.
Questa collaborazione è culminata nella creazione del Consiglio commercio e tecnologia (Ttc) tra Ue e Usa, un tavolo di confronto semipermanente per risolvere le dispute commerciali e collaborare sui fronti tecnologici più rilevanti (incluse quelle green) per lo sviluppo delle democrazie digitali. Un’esperienza nata anche dalla necessità di fronteggiare la Cina, emersa come vero rivale sistemico anche in Ue, e la Russia, specie in seguito all’invasione. Fronte su cui gli alleati occidentali hanno mantenuto l’unità, coordinando le sanzioni tecnologiche anche attraverso il Ttc.
Nel frattempo, dopo un anno di battaglie e compromessi, Biden ha portato a casa la versione a stelle e strisce del Green Deal. Che prevede sgravi e sovvenzioni per stimolare l’industria dell’auto elettrica statunitense, nonché – in linea con i tempi che corrono – il reshoring di gran parte della produzione nel Nord America. Una mossa marcatamente protezionista che taglia le gambe alla concorrenza europea, anch’essa impegnata nella transizione verso l’auto elettrica, e che ha provocato l’ira di industriali e Stati dell’Ue, accentuata dal rifiuto americano di mettere la questione sul tavolo del Ttc.
Poco dopo l’annuncio del pacchetto-legge americano, la Commissione europea ha sollevato le sue perplessità e minacciato il ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio. Nel frattempo il risentimento si converte in reazione – e c’è chi scalpita per intestarsi la battaglia. Come il presidente francese Emmanuel Macron, che nel periodo trumpiano fu protagonista del movimento protezionista europeo imponendo una tassa digitale sulle Big Tech e lavorando al naufragio del Ttip. Oggi, invece, si è intestato la protesta contro il Green Deal Usa lanciando un duro j’accuse al partner occidentale.
“Gli americani stanno buying American e perseguono una strategia molto aggressiva di aiuti di Stato. I cinesi stanno chiudendo il loro mercato. Non possiamo essere l’unica area, la più virtuosa in termini di clima, a ritenere che non si debbano favorire [i prodotti] europei”, ha dichiarato Macron al quotidiano francese Les Echos. Per poi esortare Bruxelles a sostenere i consumatori e le aziende che acquistano auto elettriche prodotte nell’Ue, invece di quelle provenienti dall’esterno. (Nel mentre, la francesissima Renault starebbe per finalizzare un accordo con il partner Nissan per potenziare il proprio comparto elettrico nascente, nome in codice Ampere).
La Commissione spera di convincere Washington a trovare un compromesso diplomatico per le case automobilistiche europee e i loro fornitori. In caso contrario, l’Ue non avrà altra scelta se non quella di sfilarsi i guanti, hanno dichiarato a Politico funzionari e diplomatici europei, anche se una nuova guerra commerciale transatlantica è l’ultimo dei loro desideri. Secondo Elvire Fabry, esperto di politica commerciale presso l’Institut Jacques Delors di Parigi, “Macron svolge il ruolo di poliziotto cattivo, rispetto alla Commissione europea, che ha lasciato a Washington un certo margine politico per apportare modifiche”.
La prossima riunione del Ttc Ue-Usa sarà a dicembre, ed è improbabile che le due parti vogliano presentarsi in assetto da guerra quando dovrebbero presentare i loro risultati. Ma è ancora meno probabile che il dem Biden voglia annacquare una misura a favore dell’interesse nazionale prima delle elezioni midterm dell’otto novembre, ove peraltro i sondaggisti rilevano un vantaggio a favore dei repubblicani. E se questi ultimi dovessero effettivamente vincere, il margine di manovra per la collaborazione transatlantica si ridurrebbe ancora di più.
Non è difficile immaginarsi che le pressioni di Macron possano essere sostenute anche dalla Germania, i cui produttori di auto sono particolarmente colpiti dalle misure americane. Più difficile che Berlino salti di gioia alla prospettiva di rafforzare il protezionismo europeo, visto che i produttori tedeschi puntano alle batterie cinesi per elettrificare le proprie gamme. Ma la posizione francese potrebbe rieccheggiare altrove in Europa, dove si legge con risentimento il fatto che le sanzioni condivise sulla Russia stiano impattando meno gli States – che nel mentre riforniscono di gas naturale liquefatto l’Ue. Un tappeto di braci che attende solo di divampare ed erodere il fronte occidentale.
Sullo sfondo, il rivale sistemico non se ne sta con le mani in mano. Martedì il più grande produttore di auto elettriche cinese, BYD, ha annunciato che i profitti dell’ultimo trimestre si sono quadruplicati. L’automaker, che quest’anno ha abbandonato definitivamente le auto a combustione interna, è il maggior beneficiario degli ingentissimi sussidi con cui il partito-Stato annaffia la propria industria. Cosa che, quando unita allo strapotere cinese sul comparto delle batterie per auto, permetterà ai produttori cinesi di fare una concorrenza spietata ai player nostrani (e americani).