Lo stile comunicativo della campagna elettorale non ha brillato, eppure si possono riconoscere meriti e demeriti. I primi a Calenda e Meloni, che hanno saputo parlare in modo chiaro agli elettori, i secondi a Letta e Salvini, poco efficaci nelle loro strategie. L’intervento di Umberto Malusà
Sulla debolezza della recente campagna elettorale si è già scritto molto: un’analisi critica trasversale, al di la di ogni visione di parte. Non mi soffermo sui contenuti ma sulle strategie di comunicazione e sullo stile dei diversi leader. Personalmente sono molto sconcertato al punto da chiedermi se e quali supporti consulenziali siano stati utilizzati.
Fortunatamente questa campagna è stata molto breve, i pochi strumenti di comunicazione visti hanno proposto immagini, grafiche e slogan poco efficaci e abbastanza “brutti”. Strumenti inadatti a trasmettere contenuti o motivazioni, e anche al costruire un immagine adeguata dei leader, che, a loro volta, non hanno certamente brillato per la loro comunicazione diretta, quella verbale e quella non verbale, fatta dai toni, dagli atteggiamenti, dall’abbigliamento, dalla postura…
Fanno eccezione Carlo Calenda e Giorgia Meloni che si sono caratterizzati per uno stile semplice, chiaro, incisivo. Forse entrambi talvolta un po’ ruvidi, Meloni anche con un linguaggio alquanto “romano”, ma sempre coerenti e mai eccessivi. Fra i peggiori Letta e Salvini. La grafica e i colori usati dal primo non sono commentabili, l’uso di strumenti e di mezzi di spostamento cui si attribuivano significati di modernità e vicinanza ai mondi giovanili e verdi, sono sembrati inutili e, mi sia consentito, banali.
Il secondo ha perseguito una tattica di “martellamento” con parole chiave supportate da un verbo, “Credo”. Mi chiedo se la struttura di comunicazione (se c’era) si è chiesta tecnicamente se questa scelta “funzionava”, non serviva aspettare i risultati del voto ma era indispensabile a prescindere un approfondimento preventivo, usuale in ogni strategia.
Come stile e contenuti non ha pagato per Letta l’evocazione continua del male e per Salvini la ripetizione ossessiva degli stessi concetti legati a “Credo”.
Infine la campagna di Conte con quell’attenzione al dettaglio nel vestire: istituzionale con la pochette, vestito elegante con scarpe da ginnastica o sportivo “chic” frutto di un’impostazione in cui traspare la mano di un modello culturale da “Grande Fratello”.
Ma al di là dell’analisi della comunicazione e dei comportamenti dei diversi leader quello che emerge, e non solo in questa campagna ma da più di un decennio, è un continuo degrado delle strategie di comunicazione politica, risultato di un mondo politico che avendo perso visioni, valori ed ideologie vive giorno per giorno alla ricerca di un consenso.
Ne consegue una comunicazione che punta più a creare un’emozione , in cui vince e orienta il sondaggio quotidiano piuttosto che la creazione di consapevolezza e forti motivazioni che, tra l’altro, comportano la forte volatilità del voto da uno schieramento a un altro.
Queste strategie si orientano più alla quantità che alla qualità della comunicazione, quasi che si comunichi solo per rimarcare la propria esistenza e l’affermazione del ruolo, piuttosto che per trasmettere idee, visioni, anche problemi, che disegnino la gestione del presente ed un progetto di futuro.
Inoltre parla quasi sempre solo il leader, continuamente, su ogni argomento, dimenticando l’effetto della “Sovrimpressione” che – alla lunga – infastidisce ed annoia. Gli esempi negativi della comunicazione negli scorsi anni di Renzi (onnipresente), dello stesso Salvini e di Conte, non sono stati sufficienti per far capire che il leader parla molto meno, che deve appoggiarsi ad una squadra i cui membri appaiono e calibrano gli interventi per argomenti ed atteggiamenti, lasciando al leader la sintesi e la ricomposizione del discorso.
In questo non si può non apprezzare Meloni che, dopo il voto, non è più apparsa ed ha fatto parlare altri soggetti, forse il segno di una ritrovata consapevolezza dei meccanismi della comunicazione.
Purtroppo i due aspetti, debolezza del sistema politico e strategia di comunicazione dei leader, sono strettamente collegati.
Allora mi chiedo se e quando dovremo comunicare ai cittadini anche situazioni e percorsi “difficili”, che magari comportino sacrifici, percorsi che richiedono consapevolezza, senso di appartenenza, che diano motivazione verso obiettivi “molto” futuri… Come faremo?