Il premier Rama in visita nello Stato ebraico che aveva offerto supporto dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra Tirana e Teheran a causa degli attacchi informatici contro le infrastrutture del Paese balcanico. Ecco i prossimi passi
Il primo ministro albanese Edi Rama si è recato in visita in Israele, il cui governo a settembre aveva offerto al Paese balcanico assistenza nella difesa informatica alla luce dei cyber-attacchi iraniani di luglio, che avevano portato alla decisione di Tirana di rompere le relazioni diplomatiche con Teheran. Rama ha incontrato l’omologo Yair Lapid, che è anche ministro degli Esteri, il presidente Isaac Herzog, lo speaker della Knesset Mickey Levy, il ministro delle Finanze Avigdor Liberman e il direttore dell’agenzia israeliana per la cybersecurity (Israel National Cyber Directorate) Gaby Portnoy. Ad accompagnarlo, i ministri degli Esteri, della Gioventù e dell’Agricoltura, il consigliere per la sicurezza nazionale e il responsabile cyber del Paese.
L’Iran, ha dichiarato Lapid incontrando Rama nel suo ufficio a Gerusalemme, “rappresenta una minaccia comune per Israele e l’Albania. Lo abbiamo visto nei recenti attacchi informatici iraniani contro l’Albania. Israele assisterà in ogni modo gli sforzi contro l’Iran. Lo consideriamo un interesse nazionale e una responsabilità storica”, ha aggiunto.
Nell’incontro con Portnoy, Rama ha espresso il suo interesse per il modello israeliano di gestione dei cyberattacchi, soprattutto per quanto riguarda la protezione delle infrastrutture critiche nazionali e lo sviluppo di capacità di difesa nel suo Paese, si legge in una nota. In particolare, Portnoy ha illustrato lo sviluppo di un “cyber dome”, una cupola informatica per proteggere le infrastrutture critiche nazionali ispirandosi all’approccio di difesa attiva che Israele mette in campo in diversi domini del conflitto. Portnoy ha anche proposto al premier albanese di partecipare allo sviluppo di un sistema di sicurezza informatica che Israele sta promuovendo.
“L’Iran non sta pagando un prezzo abbastanza alto per i suoi incessanti tentativi di minare indiscriminatamente il cyberspazio civile”, ha dichiarato Portnoy. “La posizione assunta dall’Albania nel condannare e imporre sanzioni all’Iran manda il messaggio che le azioni aggressive hanno un prezzo. Questa posizione deve essere mantenuta. La cooperazione tra Paesi fornisce una cintura protettiva contro questi e altri tentativi”, ha concluso.
Portnoy ha invitato l’Albania a una stretta collaborazione con Israele. Dopo la visita, la prossima tappa sarà una discussione online tra funzionari e attori della cybersecurity dei due Paesi.
L’interessamento israeliano alla situazione albanese potrebbe essere collegato a un quadro ampio di affari internazionali. Se è vero che Gerusalemme è attivamente impegnata nel contrastare le attività dell’Iran anche al di fuori della regione mediorientale — per esempio contro le reti collegate ai Pasdaran e a Hezbollah in Sudamerica, o fornendo intelligence all’Ucraina sui droni iraniani di cui si è dotata la Russia — Tirana è un attore particolare.
Dal 2013 le relazioni con Teheran sono pessime, perché l’Albania ha deciso di ospitare — con un processo graduale e formalizzato dopo esplicita richiesta di Stati Uniti e Nazioni Unite — i membri del Mek. La sigla identifica i Mojahedin-e Khalq, i Mojahedin del Popolo, il gruppo combattente filo-marxista sciita che si opponeva allo scià Reza Pahlavi e successivamente entrato in contrasto con la rivoluzione khomeinista e poi alleatosi con l’Iraq nella guerra con l’Iran.
Designati terroristi da Washington nel 1997, furono rimossi dalle liste dalla segretaria di Stato Hillary Clinton nel 2012 — da lì l’accordo per il ricollocamento in Albania d’incirca 3500 membri, dal 2013 al 2016. Nel corso del tempo tra Iran e Albania ci sono stati episodi di tensione, con Tirana che ha più volte agito contro attività di intelligence (e tentativi di attentati) organizzate da Teheran.
Israele ha sempre avuto un rapporto con l’Albania, ma l’attuale interessamento potrebbe avere una ragione speciale. Il Mek è stato più volte chiamato in causa in questi giorni a proposito delle ancora acefale proteste popolari che stanno infuocando l’Iran da una mesata. C’è chi pensa che un coinvolgimento dei mohajedin potrebbe dare sostegno e organizzazione alle manifestazioni, trasformandole in una rivoluzione vera e propria che potrebbe portare al rovesciamento del regime teocratico. È un’ipotesi spinta e fantasiosa, ma proteggere il Mek — e i dati informatici albanesi che potrebbero contenere informazioni sensibili sul gruppo — per alcuni attori come Israele significa proteggere un potenziale asset. Un’opzione remota, ma da tenere sempre nel cassetto vista la rivalità esistenziale tra lo Stato ebraico e la Repubblica sciita.