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Deterrenza o escalation, qual è il limite? Le riflessioni di Trenta

Nella guerra tra Russia e Ucraina sembra che il punto di non ritorno sia stato superato. Ma dove si trova il vero limite che separa la deterrenza da una potenziale escalation pericolosa? Scrive Elisabetta Trenta, esperta di difesa e sicurezza e già ministra della Difesa

Difficile prevedere il momento in cui un conflitto possa passare da convenzionale a strategico. Ma una cosa è certa, i toni delle minacce nella guerra Russia-Ucraina stanno crescendo pericolosamente e il mondo si avvia su una strada senza ritorno. Da settimane le forze ucraine riguadagnano territori procedendo verso est e verso sud (Kherson). Insieme alla soddisfazione per i risultati dell’Ucraina, si fa avanti la preoccupazione che mettere all’angolo Vladimir Putin possa affrettare un’eventuale decisione di usare l’arma nucleare. Qualcuno dice che evidenziare il pericolo nucleare significhi cadere nel gioco di Putin, altri sostengono che lo “zar” in nessun caso si fermerà perché persegue un sogno imperiale, vuole scrivere il proprio nome nella storia e desidera la terza guerra mondiale. Vero o no, di fronte a pericoli così grandi, anche se poco probabili, è necessario che le nazioni occidentali facciano una sola cosa: favorire la riapertura di dialogo e trattative tra Russia e Ucraina.

L’escalation verbale

Lo ha detto anche il direttore della Cia, Bill Burns: “Putin adesso si sente con le spalle al muro e può essere piuttosto pericoloso e sconsiderato”. Non ha tutti i torti. In seguito alla riconquista di Lyman, il leader ceceno Ramzan Kadirov, ha inviato un messaggio su Telegram invitando Mosca a considerare l’utilizzo di armi nucleari a bassa intensità per evitare sconfitte future. Non è stato il solo a parlare di arma nucleare, lo hanno fatto anche Dmitry Medvedev e lo stesso Putin, che ha dichiarato che non stava bluffando quando ha detto di essere disponibile ad usare tutti i mezzi disponibili per difendere l’integrità territoriale della Russia. Lo aveva affermato già all’inizio del conflitto “Chiunque cerchi di ostacolarci o di creare minacce per il nostro paese e il suo popolo, deve sapere che la risposta russa sarà immediata e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia”.

La risposta alla minaccia

Volodymyr Zelensky, da parte sua, ha avvertito il popolo russo che moriranno tutti se non lasceranno Putin, mentre Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, ha annunciato che “qualsiasi uso di armi nucleari comporterà conseguenze serie per la Russia”, e che “qualsiasi attacco deliberato contro infrastrutture critiche della Nato riceverà una risposta ferma e compatta”. Infine, il Parlamento europeo ha chiesto di preparare una risposta rapida in caso di attacco nucleare russo e, ciliegina sulla torta, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha dichiarato che Putin non scherza quando parla di uso potenziale dell’arma nucleare tattica, o di quella biologica o chimica, considerato il basso livello del suo esercito. D’altra parte, basta leggere il Decreto 355 del 2 giugno 2020 della Federazione russa, per comprendere che le minacce che Putin sta facendo da tempo sono basate sulla dottrina nucleare modificata due anni fa.

La deterrenza nucleare

Quello a cui stiamo assistendo è uno scontro psicologico, che si svolge parallelamente a quello militare, in cui le volontà dei diversi attori in gioco (gli Stati), attraverso la minaccia nucleare, cercano di convincere l’altra parte che è inutile andare avanti con il conflitto. Si utilizza cioè la deterrenza nucleare. Siamo, dunque, tornati nell’epoca del rischio nucleare o non ne siamo mai usciti? La verità è che le armi nucleari sono sempre state lì, anche negli anni che hanno seguito la fine dell’ex Urss, ma nessuno in questi anni ha utilizzato la minaccia del loro uso potenziale per piegare la volontà dell’avversario. Di fronte alle continue provocazioni di Putin l’occidente reagisce minacciando la rappresaglia, per ricordare a Putin (perché già lo sa) che se lancia il primo colpo, è la fine anche per lui. La guerra in Ucraina conferma la preferenza della Russia nell’uso degli strumenti che le consentono di tenere le redini del conflitto per poter controllarne la soglia oltre la quale sarebbe incontrollabile (escalation control). Ma chi sa dire esattamente quando le “redini” possano sfuggire? Nella consapevolezza che la Russia voglia impaurire e spaccare il fronte nemico, chi può affermare al 100% che Putin non deciderà di andare oltre?

Arrivare a un cessate il fuoco per poi arrivare alla pace

C’è una sola strada ed è quella di arrivare subito a una tregua e iniziare un percorso di pace, cosa che non significa cedere a Putin. Sono tante le possibilità per far ripartire il dialogo. Si possono creare aree cuscinetto, affidare l’area contesa alle Nazioni Unite o a una missione di pace europea, fare, come ha proposto Elon Musk, un referendum vero (non la farsa russa) affidato all’Onu, tornare a ragionare sugli accordi di Minsk per renderli, questa volta, veramente effettivi, trovare degli assetti costituzionali che tutelino e garantiscano i diritti delle minoranze che convivono nella stessa nazione. Non è tutto perso e le trattative non devono significare sconfitta totale per l’Ucraina o per la Russia. La pace è la vittoria di tutti.

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