Il Consiglio dei ministri ha esercitato i poteri speciali con prescrizioni ai programmi delle due aziende. Mentre la società guidata da Labriola ha già avviato un processo di dismissione degli apparati Huawei, la situazione del gruppo britannico è più complessa
Il Sole 24 Ore l’ha definita una “significativa sterzata alla sicurezza delle computazioni 5G”. Nell’ultima riunione del 28 settembre, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, ha applicato i poteri speciali, “sotto forma di prescrizioni” in relazione all’approvazione dei piani annuali 5G per l’anno 2022 presentati da Tim e Vodafone. Il giornale, che ha potuto visionare i provvedimento, riferisce una “progressiva uscita del fornitore cinese Huawei, in considerazione di potenziali rischi per la cybersicurezza”.
Il piano annuale di Tim prevede: per la parte Core l’utilizzo al 100% di apparecchiature della società svedese Ericsson; per l’implementazione di reti private dedicate c’è in campo l’italiana Athonet; per la sezione di acceso (Ran), attualmente Ericsson è al 53%, la finlandese Nokia la 27% e Huawei al 20%. Ma, ricorda Il Sole 24 Ore, Tim –guidata da Pietro Labriola, che ha nominato ad aprile Eugenio Santagata (amministratore delegato di Telsy) a capo della funzione Chief Public Affairs & Security Office – ha però già avviato un processo di dismissione degli apparati Huawei che vedrà salire, si assicura nel piano annuale, Ericsson al 70% e Nokia al 30%. Così è arrivata l’approvazione da parte del gruppo di lavoro di Palazzo Chigi sul golden power, che ha ritenuto soddisfacente il programma di diversificazione dei fornitori a favore di operatori europei e statunitensi.
Il discorso è più complesso per il gruppo britannico Vodafone: per la parte Core, Ericsson e la statunitense Juniper sono entrambe al 40% circa, Huawei e Nokia sono al 10% ciascuna. Nel procedimento governativo si fa presente che la società ha dichiarato che lo sviluppo dell’infrastruttura, oltre l’orizzonte del piano annuale, prevede Juniper al 41%, Nokia al 45% e poco meno del 15% che resta da assegnare a fornitori ancora da individuare e quindi da inserire di fatto nel prossimo piano annuale, scrive Il Sole 24 Ore. Nella parte Ran, Huawei e Nokia si dividono praticamente a metà il numero di apparati (Centro-Sud nel primo caso e Nord nel secondo), uno schema che non sembra destinato a cambiare an-che alla luce di nuovi contratti previsti nel piano annuale esaminato. Per questo, il Consiglio dei ministri ha posta una condizione: che l’operatore realizzi un drastico riequilibrio del peso di fornitori extra-Ue a vantaggio di quelli europei nella componente radio della rete. Ciò significa l’obbligo di sostituire gradualmente gli apparati cinesi già installati con quelli di società Ue una volta che giungono al termine del ciclo di vita utile, che secondo i tecnici dell’esecutivo non può comunque essere superiore a sei anni, aggiunge la testata.
A quanto risulta a Formiche.net, il governo guidato da Mario Draghi si era mosso nella stessa direzione di arginare la presenza di fornitori cinesi (Huawei ma anche Zte) anche durante Consiglio dei ministri del 28 luglio deliberando l’esercizio dei poteri speciali, “sotto forma di prescrizioni”, in relazione ai piani annuali di Fastweb e Wind Tre, società del gruppo CK Hutchison Holdings, multinazionale registrato presso le isole Cayman e con sede a Hong Kong.