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Via dal gas russo? Italia ed Eni promosse. Parla Douglas Hengel

L’ex diplomatico Usa, oggi professore alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies di Washington, definisce il tetto “una novità nel mondo delle sanzioni” e spiega a quali condizioni potrà essere considerato un successo. “La crisi energetica non riguarda soltanto quest’inverno, continuerà per diversi anni”, avverte. Ma sulla dipendenza da tecnologie e materiali critici dalla Cina, ha una visione ottimista

Stamattina gli ambasciatori degli Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto l’intesa sul nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, che include il price cap al petrolio. “Sembra che stiano più o meno approvando quanto concordato dal G7 un mese fa”. È il commento a Formiche.net di Douglas Hengel, 35 anni nella diplomazia statunitense con due passaggi a Roma (uno da vice capo missione in Italia), già vice assistente segretario di Stato all’Energia, oggi professore alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies di Washington. “È una novità nel mondo delle sanzioni”, aggiunge.

Ma funzionerà?

Sarà complicato e alcuni dicono che non funzionerà. Ma l’importante non è che funzioni perfettamente, cioè che il petrolio russo venga venduto a un prezzo superiore al tetto, ma che spinga al ribasso gli introiti della Russia dal suo petrolio. Quindi, se alla fine il price cap fornisce una leva agli acquirenti che li abbassi di 5 o 10 dollari al barile, anche se il prezzo è superiore al limite, è un successo. Le sanzioni non funzionano mai perfettamente.

Come valuta gli sforzi italiani nella diversificazione dalle fonti energetiche russe?

L’Italia ha fatto un lavoro molto positivo finora, cercando di diversificare rapidamente. È il secondo Paese più esposto in Europa dopo la Germania, a causa della sua dipendenza dalla Russia. L’Eni ha una presenza molto forte in Africa e l’ha utilizzata in modo efficace. Si possono nutrire dubbi sulla capacità di produrre gas aggiuntivo e alcuni dei Paesi su cui l’Italia ha deciso di fare affidamento in Africa non sono i più stabili. Ma non si può puntare tutto su un unica fonte, si deve cercare di diversificare. L’Italia ha un grande potenziale nelle energie rinnovabili, che non è stato ancora sfruttato. E poi si spera che arrivi abbastanza gas naturale liquefatto.

L’Italia ha sottovalutato l’importanza delle fonti di approvvigionamento energetico in termini di sicurezza nazionale?

Credo che l’Europa in generale abbia sottovalutato l’importanza dell’energia per la sicurezza nazionale. Per molto tempo, a partire dalla presidenza di Ronald Reagan, gli Stati Uniti si sono preoccupati della dipendenza energetica dell’Europa dall’Unione Sovietica e dalla Russia. E agli europei non è sempre piaciuto sentirselo dire da noi. I Paesi dell’Europa orientale lo capivano più di quelli dell’Europa occidentale. E infatti spesso venivano da noi a dire che Bruxelles e la Germania non li ascoltavano. La sicurezza energetica costa. Non si tratta soltanto della preoccupazione di dover dipendere necessariamente da un altro Paese. La Germania non pensava che questo sarebbe stato un problema e, francamente, si sbagliava.

In Italia molti sforzi per la diversificazione energetica dalla Russia sono spesso stati ostacolati da alcune forze politiche. Basti pensare al Tap. Crede ci sia lo zampino russo?

Ho prestato servizio due volte in Italia e mi è capitato di essere presente in entrambe le occasioni in cui si sono svolti i referendum sul nucleare. Ci sono stati rapporti sul fatto che la Russia abbia cercato di fermare il fracking in Europa e di finanziare gruppi ambientalisti in diversi Paesi. Non so se questo sia accaduto in Italia, ma è una specie di miracolo che il Tap sia stato finalmente completato.

La crisi energetica può mettere a rischio la solidarietà e l’unità dell’Unione europea?

L’intera questione della solidarietà è stata uno dei pilastri dell’Unione europea, a partire dalla precedente unione energetica. Poi, però, la Germania è andata avanti e ha deciso, fondamentalmente da sola con il supporto di alcuni altri Paesi, di costruire il Nord Stream 2, per esempio.

L’Unione europea è sotto pressione?

Ci saranno molte pressioni sull’Unione europea e se ogni Paese pensa a sé stesso l’Europa nel suo complesso ne risentirà. Naturalmente, i russi cercheranno di fomentare il dissenso, o potrebbero offrire accordi speciali a uno o più Paesi, come hanno già fatto con l’Ungheria.

Riuscirà a emergere da questa fase più unita?

L’Europa ha attraversato una serie di gravi crisi ed è rimasta unita, perché tutti, alla fine, capiscono qual è la posta in gioco. Ma la crisi energetica non riguarda soltanto quest’inverno, continuerà per diversi anni. Non ci sarà molto gas naturale liquefatto in più sul mercato per alcuni anni. L’Unione europea ha obiettivi molto ambiziosi di passaggio alle energie rinnovabili, ma non sarà facile raggiungerli. Per questo, dovrà probabilmente utilizzare ogni fonte possibile, compreso il carbone, e auspicabilmente ci sarà più energia nucleare disponibile in Francia. Sarà una vera sfida.

Spesso viene paragonata la dipendenza energetica dalla Russia a quella dalla Cina per quanto riguarda la tecnologia. Vale lo stesso per le energie pulite e le materie prime critiche?

Penso ci siano problemi diversi. La dipendenza dai minerali dell’Unione Sovietica ha destato preoccupazione per molto tempo ai tempi della Guerra fredda. Ma la tecnologia avanza e noi possiamo trovare il modo di ridurre al minimo queste dipendenze. Sono quindi ottimista sul fatto che la dipendenza dalla tecnologia non sarà il tipo di problema che è oggi la dipendenza dal petrolio e dal gas e dai combustibili fossili.



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