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Fini e Meloni, il percorso verso il trionfo politico. L’opinione di Zacchera

Rammarico e forse nostalgia in Fini per occasioni perdute, ma la storia – come sempre – non si costruisce quando è ormai passato l’attimo fuggente. In questo senso può restare però a Fini la soddisfazione di aver visto nella Meloni una leader già diversi anni fa, quando nessuno l’avrebbe scommesso. L’opinione di Marco Zacchera

Quali sono i veri rapporti tra Gianfranco Fini e Giorgia Meloni? Si può o meno definire la giovane leader di Fratelli d’Italia una continuatrice della sua linea politica?

È un quesito interessante soprattutto dopo che nei giorni scorsi ha fatto notizia il colloquio dell’ex presidente della Camera – e indiscusso, storico leader di Alleanza Nazionale – con la stampa estera quando, uscendo da un lungo silenzio, Fini ha preso le difese della Meloni spiegando ai colleghi stranieri che a suo parere non è in discussione la linea democratica, europea ed atlantistica della prossima premier.

Tra i due c’è un lungo e consolidato rapporto, anche perché non va dimenticato come al momento del suo decollo politico l’aiuto di Fini fu essenziale per la Meloni e credo quindi assolutamente logico che Fini la consideri indirettamente come una “nipotina”, magari un po’ impertinente, ma alla quale voler bene.

Giorgia è sempre stato un tipo tosto ed è indubbiamente cresciuta per meriti propri, ma quando – appena ventenne – divenne leader di Azione Studentesca non mancò l’avvallo di Fini al suo debutto, visto che l’organizzazione era quella ufficiale dei giovani di An.

Così come fu poi personalmente Fini a nominarla nel febbraio 2001 coordinatrice del comitato nazionale di reggenza di Azione Giovani, trampolino che le permise poi di diventarne presidente, prima ragazza a capo di un’organizzazione giovanile di destra.

Non è un caso che risale a quel tempo il progressivo sganciamento della Meloni da quel gruppo storico della destra romana conosciuto come “Quelli di Colle Oppio”, gruppo politicamente vicino ad Alemanno e a Rampelli che di fatto si contrapponevano a “Destra protagonista”, il correntone finiano dove Maurizio Gasparri teneva le fila romane che era ed è rimasta negli anni la vera spina dorsale del potere e della nomenclatura in An.

Soprattutto, fu proprio Fini a volerla candidata alla Camera nel 2006 quando il centrodestra perse per un soffio le elezioni e l’unico “posto al sole” per Alleanza Nazionale era rimasto una delle vicepresidenze della Camera.

Tutti i capicorrente chiedevano visibilità e spazio, ma alla fine Fini chiuse la questione in un minuto e – durante una vivace riunione dei deputati di An in sala Tatarella a Montecitorio – fu brutalmente chiaro: “Mettiamo la Meloni perché è la più giovane ed è donna, così non si fa torto a nessuno e voi state tutti zitti”.

Lo stesso Fini, garantendo per lei, la fece poi promuovere a ministro della Gioventù nel governo Berlusconi del 2009 (la Meloni divenne la ministro più giovane dell’Italia repubblicana e in assoluto il secondo ministro più giovane dall’Unità d’Italia) ed è quindi logico che tra i due ci sia stato nel tempo un feeling indelebile.

Certo, seguirono anni di profonda freddezza per l’affare Montecarlo (con un “gelo” non solo a livello pubblico), quello che portò alla rovina politica di Fini oltre alla parentesi politica di “Futuro e Libertà” cui la Meloni non aderì nonostante dovesse a Fini la sua crescita ai vari livelli.

La freddezza continuò anche dopo il 2013 e l’insuccesso elettorale del movimento finiano, ma va ricordato che in quegli anni la Meloni doveva per forza marcare una distanza o sarebbe stata travolta con il suo nuovo partito ancora in fasce e tutto da consolidare e far crescere.

Nel tempo però le cose sono cambiate e se negli ultimi mesi Fini ha ostentato in pubblico un assoluto riserbo, la Meloni è tutt’altro che una sciocca e sa quanti contatti Gianfranco Fini ha mantenuto con molte personalità in tutto il mondo, oltre ad avere sicuramente accumulato una esperienza politica di primo piano.

Per questo il feeling è ripreso, qualche consiglio importante non è mancato e intanto più di un esponente di “Futuro e Libertà” ha trovato casa proprio in FdI, e non da oggi.

Arrivò quasi subito Adolfo Urso, già braccio destro finiano e attuale potente capo del Copasir, ora possibile ministro, così come lo seguì Roberto Menia, già valido deputato An di Trieste e amico intimo di Fini, ora rientrato in Parlamento come capolista e neo-senatore in Liguria, responsabile del Dipartimento degli italiani nel Mondo per Fratelli d’Italia.

Sono tasselli, piccole reciproche cortesie, consigli privati con Fini che vuole e deve restare sullo sfondo per non oscurare o mettere in imbarazzo la giovane leader che è indubbiamente cresciuta del suo, ma che in qualche modo è stata e resta una sua “creatura”.

Certamente la sera del 25 settembre mentre Giorgia Meloni celebrava il suo trionfo in molti avranno pensato proprio a Fini che per primo “sdoganò” la destra italiana, ma non riuscì mai a superare Berlusconi nel suo ruolo di leader della coalizione. Un obiettivo che invece è stato raggiunto dalla sua “figlioccia”, anche se oggi il Cavaliere è decisamente ridimensionato rispetto a una dozzina di anni fa. Rammarico e forse nostalgia in Fini per occasioni perdute, ma la storia – come sempre – non si costruisce quando è ormai passato l’attimo fuggente. In questo senso può restare però a Fini la soddisfazione di aver visto nella Meloni una leader già diversi anni fa, quando nessuno l’avrebbe scommesso.



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