Secondo Giorgio Merlo, che appartiene alla tradizione politica che unisce la Dc al Pd, la storia e la cultura del cattolicesimo politico italiano sono profondamente diversi rispetto a ciò che, del tutto legittimamente, sostiene e rimarca il neo Presidente della Camera. Gli eredi di quella nobile e gloriosa tradizione devono adesso ricominciare a farsi sentire. Perché quando si cade in letargo, il vuoto viene riempito da altri
Che il rapporto tra i cattolici e la politica sia una sorta di “historia dolorum”, come diceva molti anni fa un autorevole storico cattolico, Pietro Scoppola, non c’è alcun dubbio. Un rapporto che, però, è profondamente intrecciato con la storia politica e democratica del nostro paese. Un rapporto, cioè, che entra a pieno titolo nei titoli che scandiscono la stessa evoluzione e qualità della nostra democrazia. Eppure, malgrado un dibattito antico e lungo, permane ancora una certa confusione che francamente preoccupa e, al contempo, inquieta. È appena sufficiente registrare ciò che si è detto in questi giorni dopo l’elezione del leghista Fontana alla terza carica dello Stato. Certo, Fontana rappresenta – per le sue dichiarazioni recenti e meno recenti – una sensibilità ed una cultura cattolica di chiara marca conservatrice se non addirittura reazionaria. Una tendenza che, seppur largamente minoritaria, è sempre esistita nell’arcipelago vasto ed articolato dell’area cattolica italiana.
Come sono certo, almeno lo spero, che la cultura di Fontana non influenzerà affatto la guida della Camera dei Deputati che, come tutti sanno, esige e richiede fedeltà alla Costituzione oltreché imparzialità, rispetto di tutti e tutela delle minoranze. Ma, al di là di questa considerazione, forse addirittura scontata, quello che mi pare sia importante sottolineare è che la storia e la cultura del cattolicesimo politico italiano sono profondamente diversi rispetto a ciò che, del tutto legittimamente, sostiene e rimarca il neo Presidente della Camera. Quello che stupisce, semmai, è che proprio le coordinate storico e culturali del cattolicesimo politico italiano non facciano neanche più notizia.
Anzi, non vengano neanche più richiamate nel dibattito politico e giornalistico. Certo, l’assenza – ormai da molti anni – di un partito che sia seppur lontanamente riconducibile alla tradizione e alla cultura del cattolicesimo democratico, sociale e popolare ha fatto sì che proprio quella tradizione sia ormai storicizzata. Ovvero, detto in altre parole, che è stata sostanzialmente archiviata a vantaggio di quelle tendenze che, invece, continuano a far notizia perché presenti nel dibattito e nella dialettica politica contemporanea. E questo, forse, è l’elemento decisivo che ha portato la quasi totalità dell’informazione nel nostro paese a dimenticare che proprio il rapporto tra la politica, e di conseguenza lo Stato, e i cattolici è stato risolto storicamente dal comportamento concreto avuto per svariati decenni di esperienza politica concreta dei cattolici democratici e popolari italiani.
Del resto, tutti i leader e gli statisti della Democrazia Cristiana, del Partito Popolare Italiano e della stessa Margherita, seppur con sensibilità e percorsi individuali diversi, sono sempre stati ispirati ad un rigoroso rispetto della laicità dell’azione politica, ad un profondo rispetto per le altre culture politiche o religiose e, soprattutto, ad una concreta possibilità di saper coniugare l’ispirazione cristiana con la dimensione pubblica e l’impegno politico. Ma forse, e senza limitarsi ad addossare ad altri la responsabilità di aver dimenticato – parlando proprio di Fontana e della sua esperienza cattolica in politica – la lezione e la storia del cattolicesimo politico italiano, sono gli stessi eredi di quella nobile e gloriosa tradizione culturale e politica che debbono adesso ricominciare a farsi sentire. Perché quando si cade in letargo, di norma, il vuoto viene riempito da altri. Ed è poi inutile se non addirittura controproducente piangere sul latte versato.