Che il ministro debba sostenere l’industria italiana lo impone una direttiva della Presidenza del Consiglio nata anni fa e mai abrogata, e Guido Crosetto è oggi colui che meglio di ogni altro può dar attuazione a questi impegni. Il commento del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare
Ma dove erano i “cani da guardia del potere”, come molti giornalisti amano definirsi, quando al potere salì una moltitudine di sprovveduti, di neofiti della politica i quali poi hanno governato il Paese per anni facendo pian piano esperienza sulla nostra pelle? Provocando danni permanenti o difficilmente riassorbibili se non nel lungo termine? A meno che il potere vada protetto solo da comportamenti poco opportuni pur se legittimi (e nel caso di Crosetto non è neppure così) e non da dilettanti alle prime armi, inadatti al ministero loro affidato, con le conseguenze immaginabili sulla qualità delle attività di governo e sul peso complessivo del nostro Paese nel contesto internazionale.
Mi pare di ricordare che, allora, i “cani da guardia del potere” lasciarono a Maurizio Crozza il compito di profilare la nuova compagine di governo, di metterne in evidenza l’inadeguatezza, limitandosi loro a sottolineare qualche dettaglio di poco conto nei comportamenti dei parvenu. Inutile esplicitare ulteriormente che da una vera guardia al potere era lecito attendersi, per l’interesse della collettività, un dispiego di forze adeguato a tutela di attività di governo almeno decenti. E che i responsabili venissero incalzati da giornalisti attenti oltre che da divertenti comici.
Nel caso di Crosetto vanno poi chiariti altri punti cardine. Dice oggi Angelo Bonelli dalle pagine de La Repubblica: “Crosetto non può fare il ministro della Difesa. Ha curato gli interessi dell’industria militare”. Ebbene Bonelli non sa, e forse non lo sanno anche molti altri che oggi pontificano, che un ministro della Repubblica ha il dovere di sostenere l’industria italiana, anche e soprattutto nelle attività di esportazione. E questo non è solo un dovere di facile intuizione in un Paese che ha una industria “di Stato” impegnata in un mercato altamente competitivo, è semmai il preciso postulato di una direttiva della Presidenza del Consiglio nata anni fa e mai abrogata, scritta per stimolare e strutturare il sostegno all’industria della Difesa, e che a tale scopo ha istituito un apposito gruppo di lavoro interministeriale, il Gliced (Gruppo di lavoro interministeriale per il coordinamento delle esportazioni della Difesa).
Consiglio ai giornalisti che lo criticano, ad Angelo Bonelli e quanti sono della loro idea, di dare uno sguardo a queste e altre direttive di governo per vedere poi se Guido Crosetto non sia oggi colui che meglio di ogni altro possa dar attuazione agli impegni fissati da Palazzo Chigi. A meno che non si contesti anche la linea di governo e allora la battaglia va spostata su un altro piano. Facendo cessare il latrato di branco nei confronti di un galantuomo, riconosciuto tale da tutti fino a pochi giorni fa e colpevole solo di aver sostenuto la nostra industria, ricevendone un giusto, palese e meritato compenso.
Un’osservazione conclusiva: in un momento così delicato si poteva assegnare la Difesa a qualcuno che non fosse il più adatto a ricoprire quel ruolo? O bisognava insistere nel rituale di assegnare quella poltrona ad un esponente di rango della coalizione rimasto a bocca asciutta rispetto alle altre poltrone di peso? Perché questo è da sempre il destino della Difesa: accogliere un nuovo ministro digiuno di qualunque sapere, accompagnarlo nel percorso constatandone la crescita costante a svolgere l’incarico nel senso del giuramento prestato, e salutarlo con dispiacere reciproco quando la sua solidità di ministro è risultato acquisito. Un praticantato che con Crosetto verrà saltato a piè pari grazie alla sua esperienza nel settore che resta una risorsa e non un vissuto ideale per le scorribande di “cani da guardia del potere”, vigili a corrente alternata.