La domanda di litio cresce esponenzialmente, l’offerta stenta a tenere il passo. E non aiuta che il Paese con le maggiori riserve al mondo, in procinto di cominciare a sfruttarle, sia più vicino a Russia e Cina che all’Occidente. Ecco perché il boom del litio boliviano potrebbe diventare l’ennesima parabola su materiali critici e soft power
La transizione ecologica continua e la gara verso le risorse necessarie – accentuata dalla competizione strategica tra i Paesi – si è fatta incandescente. Difficile trovare un esempio migliore del litio, l’elemento-chiave per le batterie più avanzate che siamo in grado di produrre e cardine dell’industria dell’auto elettrica (ma non solo). Oggi i prezzi del carbonato di litio utilizzato nelle batterie delle auto elettriche sono decuplicati rispetto a inizio 2021, e il trend rialzista non accenna a diminuire.
Oggi si teme che con la domanda di litio in continua espansione – entro il 2050 sarà 20 volte quella attuale, secondo Benchmark Mineral Intelligence – l’offerta non sarà in grado di stare al passo. È la scommessa di Akio Toyoda, Ceo di Toyota, che giorni fa ha confermato la sua strategia di sviluppo: dedicare metà degli investimenti ai veicoli ibridi anziché concentrare tutti sui “purosangue” elettrici, come sta facendo gran parte dei concorrenti. Uno dei motivi è “l’enorme carenza” di litio che secondo Toyoda si abbatterà sul comparto nel prossimo decennio.
Anche i competitor – le case automobilistiche e, sullo sfondo, i rispettivi Stati – sono in ansia per quanto riguarda il litio, e memori dei colli di bottiglia apparsi in pandemia. La strategia dei primi è cercare di controllare quanto più possibile dei processi a monte, alleandosi con i produttori di batterie per stringere accordi diretti con i fornitori e costruire e fabbriche assieme. I secondi, nel mentre, sono dediti ad assicurarsi che i Paesi fornitori possano e vogliano vendere alle proprie aziende. Ed è qui che entra in scena il cosiddetto “triangolo del litio” – Argentina, Bolivia, e Cile, i detentori delle riserve di litio più massicce del pianeta.
Mentre Argentina e Cile hanno già anni di esperienza nell’escavazione e nella raffinazione di litio, la Bolivia, che secondo il Servizio geologico degli Usa possiede un quarto delle risorse al mondo, è praticamente alle prime armi. Un obiettivo allettante, dunque, per sviluppare relazioni commerciali. E il governo boliviano,dopo anni di ritardi e mala gestione, è in procinto di far partire la propria industria del litio. Anzi, entro fine anno deciderà quale partner internazionale assegnare alla controllata statale Yacimientos de Litio Bolivianos (Ylb).
Peccato che in lizza ci sia solamente una società occidentale – Lilac Solutions, sostenuta da Breakthrough Energy Ventures di Bill Gates. Il resto della rose è composto da quattro aziende cinesi e una russa, dopo l’esclusione di un’altra statunitense, come racconta il Financial Times. Ma più che il potere della probabilità potrebbe contare il soft power. Il governo di La Paz è allineato con Pechino e Mosca, e si è rifiutato di condannare quest’ultima per l’invasione dell’Ucraina. Le relazioni tra Stati Uniti e Bolivia sono state prettamente ostili da quando il partito al governo – Movimiento al Socialismo, o Mas – è salito al potere nel 2006.
Non è detto che l’azienda vincitrice possa avere successo, per via della difficoltà di estrarre il litio boliviano. Normalmente si pompa la salamoia dalle saline in cui si trova il litio nei bacini in cui viene fatta evaporare l’acqua, processo che lascia i sali di litio pronti per essere raffinati. Un metodo poco adatto alle saline boliviane, che hanno basse concentrazioni di litio, molte impurità e una stagione delle piogge annuale che dura diversi mesi. Dunque il Mas vuole spingere sull’estrazione diretta del litio, un sistema sperimentale e poco diffuso, di cui né l’azienda statunitense né quella russa hanno dimostrato la padronanza.
Probabile, dunque, che alla fine la spunti la Cina, uno dei maggiori partner commerciali della Bolivia e grande finanziatore di infrastrutture nel Paese sudamericano. Che già domina la parte a monte del settore, dall’estrazione alla lavorazione (Pechino produce il 66% delle batterie al litio su scala mondiale), e si sta muovendo per espandere la propria presenza, specie in America Latina. I Paesi del blocco occidentale si stanno organizzando per competere più efficacemente nel settore delle materie critiche – l’Unione europea ha già un consorzio, la Battery Alliance, e si muove per aumentare la produzione interna –, ma potrebbero aver accumulato troppi anni di ritardo per riuscire a mettere in sicurezza uno dei settori più critici per la transizione e le proprie industrie automobilistiche.