La Marcia della pace di domani, non importa che sia diventata paradossalmente divisiva, anzi più lo è e meglio è per De Luca, per alcuni osservatori miopi è solo un banco di prova per misurare la consistenza dei deluchiani rispetto alle fila degli anti-deluchiani, mentre per chi guarda l’orizzonte è un punto di snodo per misurare la forza del leader salernitano nel riuscire a conquistare e rappresentare politicamente il Meridione. L’analisi di Domenico Giordano, autore di due libri su De Luca e socio di Arcadia
Volli, sempre volli, fortissimamente volli la marcia per la Pace. Con la stessa caparbietà che fu di Vittorio Alfieri, dote che al nostro per la verità non ha mai fatto difetto, Vincenzo De Luca ha voluto, promosso, difeso contro tutto e tutti, e finanziato, con uno stanziamento di 300 mila euro, la manifestazione di domani, 28 ottobre, per “fermare Putin, fermare l’atomica, aiutare le famiglie, salvare le imprese” e, aggiungo mordendomi la lingua, per prendersi una adeguata dose di spazi mediatici e informativi.
Il presidente ha chiamato tutti a raccolta, stretti e compatti in Piazza del Plebiscito per ribadire che i cittadini e le imprese della Campania sono “per il cessate il fuoco e l’avvio dei negoziati di pace”, solo che questa volta a differenza di quanto era successo con la pandemia, l’appello non è riuscito a generare l’arcinoto effetto “rally ‘round the flag”.
In queste settimane, infatti, diversi sono stati i distinguo, le critiche, le prese di distanze e i silenzi interessati verso una manifestazione con la quale Vincenzo De Luca sembra voler ricalcare quella creatività diplomatico-missionaria che fu di Luigi De Magistris, sindaco-armatore che si era inventato addirittura la flotta comunale per portare in salvo i migranti alla deriva nel Mediterraneo.
In effetti, a voler pensare male si fa peccato ma spesso si indovina, come ricordava il Divino Giulio con una punta di realismo democristiano, così l’idea della Marcia della Pace non solo appare una forzatura dell’articolo 10 dello Statuto regionale, che recita letteralmente “la Campania promuove iniziative di cooperazione internazionale ed in particolare con i popoli colpiti da eventi bellici o calamità naturali ed in ritardo di sviluppo”, ma andando al sodo sembra essere l’occasione migliore per il suo fautore di ritagliarsi uno spazio mediatico di visibilità nel dibattito nazionale e, non di meno, in quello del suo partito alla vigilia di un congresso che potrebbe sconvolgere non poco gli attuali rapporti di forza tra le correnti dem.
Vincenzo De Luca che ha sempre sofferto più del dovuto il confinamento territoriale della sua leadership ieri alla sua Salerno e oggi alla Campania, ha ripetutamente sfruttato in questi anni le occasioni fornite dal contesto nazionale per ribadire la mediocrità della classe dirigente, amica o nemica che fosse, e di converso consolidare così la sua reputazione politico-istituzionale.
Adesso però, passata la paura della pandemia, con il Partito democratico ritornato all’opposizione, la segreteria Letta pronta al rompete le righe in vista del congresso, l’incertezza di un terzo mandato da governatore tutto da costruire, il passaggio a Palazzo San Giacomo del sindaco Gaetano Manfredi e, in ultimo, l’arrivo a Palazzo Chigi di un presidente del Consiglio come Meloni che per certi aspetti è molto deluchiana nei valori, impongono allo stesso De Luca di aggiornare rapidamente la cassetta degli attrezzi.
La Marcia della pace di domani, non importa che sia diventata paradossalmente divisiva, anzi più lo è e lo diventa meglio è per De Luca, per alcuni osservatori miopi è solo un banco di prova per misurare la consistenza dei deluchiani rispetto alle fila degli anti-deluchiani, mentre per chi guarda andreottianamente l’orizzonte è un punto di snodo per misurare la forza del leader salernitano nel riuscire a conquistare e rappresentare politicamente il Meridione, di zavorrare a suo piacimento la prossima segreteria del Partito democratico e, aspetto non secondario, continuare a costruire attorno al suo personaggio quella placenta mediatica senza la quale rischia di confondersi, sia detto senza offesa, a uno dei diciannove presidenti di regione.
Volli, sempre volli, fortissimamente volli la pace e, anche un po’ di guerra.