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Doppio isolamento per lo Xinjiang, all’Onu e con la scusa del Covid

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha respinto la mozione per aprire il dibattito sui presunti abusi nella regione cinese, che ora è in lockdown per l’aumento dei contagi, a pochi giorni dal Congresso del Partito comunista cinese. La lista dei Paesi che hanno fermato la discussione all’Onu

Non ci sarà, almeno per ora, la discussione sui presunti abusi contro i diritti umani nello Xinjiang all’Onu. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha respinto una mozione per aprire il dibattito sullo stato della regione cinese, dopo la pubblicazione del report dell’Alto Commissariato e le polemiche per le pressioni di Pechino per bloccare la diffusione.

La mozione è stata bocciata con 19 voti contrari, 17 favorevoli e 11 astenuti. Questa è la seconda volta che il Consiglio respinge una mozione nei suoi 16 anni di storia, un voto che è stato interpretato dagli esperti una significativa macchia sull’autorità morale dell’organizzazione.

Il voto alla camera del Consiglio a Ginevra è stato preceduto da un intervento di Chen Xu, ambasciatore cinese all’Onu. L’approvazione, secondo il rappresentante, sarebbe stata “una scorciatoia pericolosa nell’esame internazionale dei dati relativi ai diritti umani. Oggi è la Cina ad essere nel mirino. Domani toccherà a qualsiasi altro Paese in via di sviluppo”.

“Le questioni relative allo Xinjiang non hanno nulla a che vedere con i diritti umani e sono (piuttosto) legate all’antiterrorismo, alla deradicalizzazione e al contrasto del separatismo – ha proseguito Chen -. Gli Stati Uniti e alcuni altri Paesi hanno fabbricato e diffuso numerose bugie e pettegolezzi nel tentativo di diffamare la Cina, minare la stabilità dello Xinjiang e contenere lo sviluppo del Paese. (…) è un tipico esempio di doppiopesismo. La comunità internazionale non deve permettere che tali questioni vengano strumentalizzate politicamente e agire affinché’ gli organismi multilaterali deputati alla tutela dei diritti umani non servano gli obiettivi politici di determinati Paesi”. E l’avvertimento ha reso i frutti aspettati dalla Cina.

La mozione era stata richiesta da Stati Uniti, Canada e Regno Unito, ed è stata promossa anche da Dolkun Isa, presidente del Congresso mondiale degli uiguri. Il leader del gruppo etnico si era recato in Giappone la scorsa settimana per sollecitare l’adesione del governo, sostenendo che le promesse vuote sono insufficienti a fermare il genocidio degli uiguri in corso nello Xinjiang.

I Paesi che hanno votato contro la mozione sono 19, tutti legati economicamente o politicamente alla Cina. Tra loro Camerun, Eritrea, Gabon, Costa d’Avorio, Mauritania, Namibia, Senegal e Sudan, dove Pechino ha espanso la sua influenza con diversi investimenti. Ma anche Kazakhstan, Pakistan, Uzbekistan, Emirati Arabi Uniti, e Qatar, Libia, Nepal, Indonesia e ancora Cuba, Bolivia e Venezuela. Si sono astenuti invece Brasile, Messico, Argentina, Armenia, India, Benin, Gambia, Malawi e Ucraina. L’Ucraina però ha cambiato idea successivamente: è passata dall’astensione all’approvazione della mozione.

Intanto, lo Xinjiang è in completo lockdown per colpa del Covid-19. A pochi giorni dall’inizio del Congresso del Partito Comunista Cinese, l’amministrazione locale ha sospeso i viaggi al di fuori della regione autonoma per frenare la diffusione del virus.

Liu Sushe, vicepresidente dello Xinjiang, ha spiegato che il numero di contagi, “effettivamente sotto controllo alla fine di agosto, ha registrato una riacutizzazione a causa della condotta rilassata degli abitanti e del rispetto poco rigoroso delle misure”. Nello Xinjiang sono stati registrati 97 nuovi contagi asintomatici.

Il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie cinese ha chiuso i confini regionali e sospeso i treni in uscita: “Le origini dei focolai nelle comunità locali non sono state completamente eliminate e le infezioni asintomatiche continuano a diffondersi prima di essere rilevate”. Per questo motivo sarà vietato lasciare la città e le visite saranno consentite dalle autorità solo per “ragioni straordinarie” e in coordinamento con i centri di prevenzione e controllo del Covid-19.

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