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Mediazione in Ucraina? Il Vaticano è in una posizione unica. Scrive il prof. Giovagnoli

Di Agostino Giovagnoli

Papa Francesco è rimasto uno dei pochi che possa parlare in modo credibile di pace. È questa la risorsa principale che la Santa Sede può far valere. Il commento del professor Agostino Giovagnoli, storico dell’Università Cattolica di Milano

Di una possibile mediazione vaticana per la pace in Ucraina si è cominciato a parlare fin dall’inizio del conflitto. Questa volta, a rilanciarla è stato Emmanuel Macron, che il 24 ottobre ha incontrato papa Francesco, parlando soprattutto di Ucraina. Il presidente francese ha poi detto di aver chiesto al pontefice di chiamare il presidente russo Vladimir Putin, quello statunitense Joe Biden e il patriarca russo Kirill per sollecitare un dialogo di pace. Da parte russa è venuta subito una risposta: il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che “siamo pronti a discutere […] con gli americani, e con i francesi, e con il pontefice”. A stretto giro, il cardinal Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, ha interpretato questa “apertura generica” come un “passo avanti”, confermando la disponibilità della Santa Sede a cogliere anche un piccolo spiraglio di pace. Appena due giorni dopo, lo stesso Parolin ha incontrato a Parigi il primo ministro francese, Élisabeth Borne, un “échange qui intervient à la suite de la visite du Président de la République au Vatican” secondo France Presse.

Due le novità principali. Anzitutto la reazione non negativa da parte russa a un coinvolgimento di Francesco in un’eventuale discussione di pace. Tale reazione si iscrive in una situazione di difficoltà per Putin, non solo per l’andamento non positivo del conflitto, ma anche per un crescente isolamento internazionale (che lo ha spinto ad escludere l’uso dell’arma atomica anche per la contrarietà cinese a tale opzione). È inoltre rilevante che a chiedere un’iniziativa vaticana sia stato il presidente francese. L’intervento di Macron ha suscitato l’aspro sarcasmo di Maria Zakharova, ormai ben nota portavoce del ministero degli Esteri russo. “Scusi se rido”, ha dichiarato a un giornalista dell’Ansa, “ma è impossibile reagire altrimenti vedendo Macron che da un lato tende una mano al Vaticano per una mediazione mentre con l’altra firma contratti per fornire armi a Kiev”. Macron, ha aggiunto, “rischia uno sdoppiamento della personalità. O pace e trattative e quindi mediazione, oppure forniture di armi e alimentazione continua del conflitto”. È la logica inesorabile del pensiero unico di guerra.

Macron, però, ha mostrato di aver ben presente il problema e infatti ha risposto in anticipo a Zakharova intervenendo il 23 ottobre all’incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio “Il grido della pace”. Qui lui stesso ha sottolineato di essere “un presidente che è il capo della diplomazia ma anche dell’esercito di una potenza nucleare, nel mezzo di una guerra tornata in Europa. È un momento strano per venire a parlare di pace […] quando ogni giorno dobbiamo spiegare che dobbiamo resistere, che dobbiamo parlare di sconfitta del nemico, di vittoria, e che ovunque in Europa e nel mondo si attendono parole che il più delle volte sono bellicose”. Ma ha accettato la sfida. Da un lato ha ribadito che la pace deve essere quella che decideranno gli ucraini, “quando decideranno, e che rispetterà i loro diritti di popolo sovrano”. Dall’altra, però, ha citato La pace perpetua di Immanuel Kant: “Non può essere riconosciuto come trattato di pace quel trattato che porta con sé le radici di una nuova guerra”. E ha spiegato: “Qualsiasi pace che neghi lo spazio dell’altro, anche del mio nemico, non è un trattato di pace”. Perciò, la pace è necessariamente “impura, profondamente, ontologicamente, perché accetta una serie di instabilità, di scomodità, che rendono però possibile questa coesistenza tra me e l’altro”. Il giorno dopo Macron ha donato al Papa la prima edizione francese del libro di Kant, in linea con la sua richiesta di farsi promotore di una pace non solo “giusta” ma anche “impura”.

L’endorsment francese alla mediazione di Francesco sottolinea l’unicità della posizione vaticana. La Santa Sede, infatti, sfugge alla contraddizione denunciata da Zakharova. È un soggetto internazionale che non sostiene la posizione russa ma che non ha neanche dato armi all’Ucraina, comprese quelle rappresentate da parole di guerra utilizzabili per la propaganda bellica. Benché sia stato chiaro nel sottolineare la differenza tra l’aggressore e l’aggredito, Francesco è stato molto criticato per questo non solo dagli ucraini ma anche da molti cattolici. In questo modo, però, è rimasto uno dei pochi che – nell’inquietante debolezza delle organizzazioni internazionali – possa parlare in modo credibile di pace. È questa la risorsa principale che la Santa Sede può far valere. Tutti gli Stati del mondo, infatti, sono prigionieri di una sovranità basata sulla forza delle armi che oggi li coinvolge tutti – indirettamente o indirettamente – in una ridefinizione dei rapporti internazionali attraverso la guerra. Ciò lega le mani anche a quei capi di Stato o di governo che pure, come Macron, sentono l’urgenza della pace. Ma i popoli non hanno solo diritto al rispetto della loro sovranità: i popoli, a cominciare da quello ucraino, hanno anche diritto alla pace (lo ius pacis di cui ha parlato il Papa nell’ambito dell’incontro internazionale di Sant’Egidio). Gli Stati oggi non riescono a farsene interpreti; c’è da augurarsi che ci riesca Francesco.



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