I numeri della Caritas parlano chiaro. Due milioni sono le famiglie italiane in povertà assoluta. Forse per troppo tempo ci siamo lasciati prendere dal trip delle parole “politically correct”. Ci siamo distratti e ci ritroviamo in mezzo a una povertà da dopoguerra. Allora riuscimmo a venirne fuori. Avevamo una grande classe politica. La rubrica di Pino Pisicchio
A qualche decina di metri dalla sede di Formiche, in una combinazione di toponomastiche e storie politiche che spesso si incrociano nel centro storico di Roma – in faccia al mitico Palazzo Grazioli di berlusconiana memoria, ad un tiro di schioppo da piazza del Gesù, con le bandiere del Grande Oriente e da palazzo Cenci Bolognetti dai perduti fasti democristiani – c’è una mensa popolare.
Ricordo che, venendo dall’aeroporto per raggiungere il centro, mi capitava spesso di vedere sul marciapiede prospicente la mensa, intorno all’ora di pranzo, una fila compatta e ordinata di extracomunitari in attesa del pasto. Mano mano che il tempo passava e ci avvicinavamo ai giorni nostri le facce della gente in fila cambiavano. C’erano sempre più italiani, stretti in giacchette che dichiaravano un passato più decoroso, camice lise con polsini sbrecciati, occhi bassi e passo che ricordava forse le dignità di un lavoro impiegatizio, facce amare per una umiliazione che non era mai stata messa nel conto.
Ecco: se dovessi descrivere quei numeri che la Caritas ci ha messo sotto gli occhi con la crudezza che solo la statistica sa esprimere, sceglierei la foto di quelle facce basse, di quelle giacche strette, di quelle camicie lise. Due milioni sono le famiglie italiane in povertà assoluta, che significa non poter disporre del minimo reddito necessario per soddisfare i bisogni di base (mangiare, disporre di medicine, pagare il fitto, la luce, l’acqua, il riscaldamento, ecc.), insomma una condizione di indigenza totale.
Si tratta di valori altissimi, pari al 9,4% della popolazione e coinvolge 5,571 milioni di persone, con picchi particolarmente alti nell’Italia meridionale dove la povertà coinvolge il 10% della popolazione. Questi dati non tengono conto delle persone in povertà relativa, nuclei di tre persone che vivono con meno di 1300 euro al mese, e che per la tassonomia statistica sono già su un gradino più alto: si tratta di 2,6 milioni di famiglie.
La povertà relativa “esprime le difficoltà economiche nella fruizione di beni e servizi, riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione”. Fuori dalla fraseologia asettica significa che con le bollette della luce e del gas in arrivo, con il carburante alle stelle e l’inflazione cattiva che monta anche sulla spesa alimentare, quelle famiglie sono destinate a precipitare nell’inferno della povertà assoluta.
E alla fine fanno 4 milioni e 600 mila famiglie, 13,5 milioni di persone almeno, oltre il 22% della popolazione e forse anche di più. Numerosità che nel sud arriva al 27/30%. La Caritas ci racconta poi dei bambini: il 14,2% dei “poveri assoluti” è minore, mentre l’11,2% è in età tra i 18 e i 34 anni. Naturalmente potremmo continuare con i dati ( il destino di solitudine e povertà di tanti anziani, di extracomunitari, di disoccupati cronici, perché – ci racconta la povertà assoluta – da questa condizione non si esce quasi mai), ma lo scenario è chiaro: la povertà morde le fasce che già erano deboli, distrugge il ceto piccolo borghese, aggredisce la media borghesia. Transitando dalla sociologia alla politica potremmo dire che la difficoltà dei ceti medi corrisponde anche alla difficoltà della democrazia, che trova in quel pezzo di popolazione le sue ragioni e i suoi sostegni più forti.
Che dire ancora? Una politica che non riesca a riequilibrare e che lascia fuori dalla soglia di dignità umana quasi un quarto della sua popolazione è una politica che non serve a niente: chi è forte di suo sa come difendersi. Chi è debole, povero, senza tutele e padronaggi è destinato a soccombere. E con lui le ragioni dello Stato sociale e democratico. Forse per troppo tempo ci siamo lasciati prendere dal trip delle parole “politically correct”. Ci siamo distratti e ci ritroviamo in mezzo a una povertà da dopoguerra. Allora riuscimmo a venirne fuori. Avevamo una grande classe politica.