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I populisti e la questione sociale. Scrive Merlo

Di Giorgio Merlo
populismo

Secondo l’ex deputato Pd Giorgio Merlo, la “questione sociale” è troppo importante per il futuro democratico del nostro Paese per non essere affrontata o per essere strumentalizzata da forze populiste e qualunquiste. Serve una profonda inversione di rotta e, soprattutto, una rinnovata assunzione di responsabilità di una cultura politica, quella cattolico-sociale, che da troppi anni ormai vive ai margini della dialettica politica italiana

Ma com’è possibile che la “questione sociale” venga appaltata ad un partito populista come quello dei 5 Stelle? Com’è possibile che un partito populista, e quindi politicamente ambiguo e inaffidabile nonché privo di qualsiasi cultura e riferimento ideale, possa permettersi il lusso di essere l’interlocutore per eccellenza di un dramma che sconvolge milioni di famiglie e getta nella povertà e ai margini della società centinaia di migliaia di persone?

Ora, è indubbio che il risultato elettorale ci consegna, al riguardo, alcuni dati. Innanzitutto chi si è fatto carico e chi rappresenta realmente e politicamente i ceti popolari nel nostro Paese, i segmenti sociali e i mondi vitali che sono più in difficoltà e chi, purtroppo e per svariate motivazioni, è costretto da svariate circostanze a vivere in condizioni di indigenza? I risultati elettorali ci dicono che la destra da un lato – in particolare i Fratelli d’Italia per le note capacità politiche e culturali della sua leader, Giorgia Meloni – e i 5 Stelle dall’altro sono stati in grado di interpretare e di farsi carico di quelle aspettative. Piaccia o non piaccia questa è la lettura di ciò che emerge dal recente dato elettorale.

In secondo luogo non si può non rilevare che la sinistra italiana, nello specifico il Partito democratico, ha di fatto rinunciato a rappresentare un mondo sociale che ormai è lontano dalle sue corde culturali. Al di là degli slogan, della propaganda e delle parole d’ordine che goffamente vengono ripetute e sgranate a giorni alterni, è un fatto abbastanza acclarato che il Pd era e resta il garante del sistema, dell’establishment, dei poteri forti, dei quartieri alto/borghesi e quindi, e di conseguenza, di interessi che esulano da tutto ciò che è riconducibile alla cosiddetta “questione sociale”.

In ultimo, però, si corre il rischio concreto che quando pezzi consistenti della società non sono più rappresentati politicamente e attraverso partiti di riferimento, vivono realmente ai margini. Delle istituzioni, della politica e della stessa società. Un mondo, cioè, nascosto e quasi invisibile ma che purtroppo è destinato a crescere in modo esponenziale e con un vissuto sempre più drammatico e carico di conseguenze negative. A livello personale, famigliare, professionale e forse anche di tenuta psicologica.

Ecco perché, a fronte di un quadro preoccupante e destinato purtroppo a peggiorare nei prossimi mesi per motivazioni legate alla doppia emergenza sanitaria e soprattutto bellica, credo sia necessario porsi una domanda: e cioè, non può essere una forza populista, qualunquista e ultimamente anche tardo assistenzialista l’interlocutore politico per eccellenza della “questione sociale” nel nostro Paese. È giunto il momento, cioè, che le grandi tradizioni ideali, culturali e politiche del passato che facevano del “dato sociale” la ragione del loro impegno politico escano
dal letargo e si facciano sentire. Certo, oggi purtroppo non esiste più una “sinistra sociale” di ispirazione cristiana come quella che caratterizzò per decenni l’esperienza politica della Democrazia Cristiana. Mi riferisco alla sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin e di Franco Marini.

Come è tramontata quella sinistra socialista di Riccardo Lombardi che faceva dell’istanza sociale una delle ragioni di fondo dell’impegno politico e pubblico di quella componente. Ma è indubbio che, per fermarmi alla mia area culturale, il cattolicesimo sociale e politico non può continuare, anche nell’attuale contesto, a rifugiarsi nelle retrovie e a rinunciare a combattere una battaglia politica di prim’ordine. Pur senza avere un partito che si faccia carico organicamente di quella questione, chi continua a riconoscersi nella tradizione del cattolicesimo sociale e politico nelle varie formazioni in campo ha il dovere, morale prima ancora che politico, di farsi carico di quelle domande e di dare risposte concrete e tangibili.

Purché non si pensi che la inedita e drammatica “questione sociale” nel nostro Paese possa essere appaltata ai populisti di turno che, come tutti sanno, cavalcano i temi per puro spirito propagandistico e strumentale senza darne alcuna risposta convincente e a lungo termine. La “questione sociale”, cioè, è troppo importante per lo stesso futuro democratico del nostro Paese per non essere affrontata o per essere strumentalizzata da forze populiste e qualunquiste. Serve una profonda inversione di rotta e, soprattutto, una rinnovata assunzione di responsabilità di una cultura politica, quella cattolico-sociale, che da troppi anni ormai vive ai margini della dialettica politica italiana.

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