Una delle caratteristiche che ha conquistato gli investitori internazionali è che l’isola era porta di ingresso verso la Cina, con i vantaggi dell’Occidente. Ora sembra essere diventata la destinazione di società escluse dalle capitali finanziarie internazionali, a cominciare dalle aziende russe
Mentre proprietà russe vengono sequestrate in tutta Europa, un superyacht da 500 milioni di dollari è ancorato nelle acque di Hong Kong. L’imbarcazione sarebbe intestata al miliardario Alexey Mordashov, maggiore azionista del produttore di acciaio Severstal PJSC e il terzo uomo più ricco della Russia, incluso nella lista di sanzionati per la sua vicinanza al Cremlino.
Ma non solo gli yacht di lusso navigano verso l’isola, famosa fino a poco tempo fa per godere dei benefici dell’Occidente e i vantaggi della Cina. Anche molte società russe escluse dalle capitali finanziarie occidentali pensano a Hong Kong come nuovo destino, alimentando l’ipotesi che diventerà l’hub asiatico delle imprese sanzionate per la guerra russa in Ucraina.
Sherman Yan, socio amministratore di Hong Kong Avvocati ONC di Kong, ha dichiarato all’agenzia Bloomberg che molte imprese russe, tra cui anche aziende statali, stanno cercando di appoggiarsi su studi legali di Hong Kong per entrare in una “giurisdizione più amichevole” rispetto a New York e Londra.
E almeno altri due studi legali nel territorio cinese sono stati contattati da società russe, che hanno chiesto informazioni sulla raccolta di capitali in città. L’idea è trasferire le registrazioni a Hong Kong ma continuano ad operare commerciale in Russia.
United Co. Rusal International PJSC, la società russa dell’alluminio che era stata soggetto a sanzioni fino all’inizio del 2019, opera nella borsa di Hong Kong. Polymetal International Plc, un minatore d’oro con attività in Russia e Kazakistan registrato nel Jersey, ha dichiarato a settembre che sta valutando la ridomiciliazione. E pensa a Hong Kong dopo che la legge del presidente Vladimir Putin ha vietato alle società dei cosiddetti “Paesi ostili” di vendere beni, influenzando il piano di business di Polymetal.
Secondo Bloomberg, le banche di Hong Kong avevano un’esposizione complessiva di 800 milioni di dollari di Hong Kong alla Russia alla fine di giugno, in calo rispetto ai 2,6 miliardi di dollari di Hong Kong alla fine di febbraio.
“Hong Kong potrebbe offrire una finestra sul capitale esterno per le aziende russe poiché il governo cinese ha mantenuto relazioni amichevoli con Mosca – ha aggiunto Bloomberg – e non ha imposto sanzioni con l’escalation dell’invasione”.
Un portavoce del Dipartimento di Stato americano ha dichiarato che “il possibile uso di Hong Kong come rifugio sicuro da parte di persone che evadono le sanzioni di diversi giurisdizioni aumenta i dubbi sulla trasparenza del ambiente di affari”. La reputazione della città, ha aggiunto il rappresentante del governo di Joe Biden, “dipende dal rispetto delle leggi e gli standard internazionali e le imprese americani vedono sempre con più sospetto l’ambiente imprenditoriale di Hong Kong”, a causa dell’erosione dell’autonomia e le libertà che prima godeva la città.
John Lee Ka-chiu, capo esecutivo di Hong Kong, ha spiegato che applicherà soltanto le sanzioni delle Nazioni Unite, dopo che gli Stati Uniti hanno avvertito che la posizione della città come centro finanziario globale potrebbe essere a rischio se continua a dare rifugio ai beni russi in fuga. “Si applicheranno le sanzioni delle Nazioni Unite, quello è il nostro sistema, quello è il nostro stato di diritto”, ha detto alla stampa.
Resta da capire ancora se le banche e i revisori dei conti di Hong Kong saranno disposti a trattare con le aziende russe, considerando la minaccia di sanzioni secondarie. Le banche della Cina continentale a Hong Kong, ad esempio, non hanno accettato affari con i funzionari locali che sono stati sanzionati dagli Stati Uniti per il loro ruolo nella repressione delle libertà dopo le proteste a favore della democrazia nel 2019.
Una delle caratteristiche di Hong Kong che ha conquistato gli investitori internazionali è stata quella di essere porta di ingresso verso la Cina. Dal 1997, la sua sovranità è passata sotto il controllo di Pechino, con la premessa “un Paese, due sistemi”, che permetteva una gestione autonoma in alcuni ambiti come il controllo delle dogane e la politica monetaria.
Dopo una prima ondata di migrazione verso Regno Unito e Canada, per timori di ulteriori repressioni, come quella accaduta a Piazza Tienanmen nel 1989, i 20 anni successi sono stati di successi molto promettenti. Hong Kong è diventato un importante centro finanziario “offshore”, gli immobili sono diventati tra i più costosi a livello internazionale e le imprese avevano cominciato ad attrarre talenti da tutto il mondo.
Tuttavia, già prima della pandemia Covid-19 la città ha cominciato a vivere un declino. Nel 2018 si sono registrati i primi segni di decelerazione del Prodotto interno lordo, in seguito alla guerra commerciale del presidente americano Donald Trump contro la Cina.
Le proteste dei movimenti pro-democrazia hanno peggiorato la situazione. Durante la seconda metà del 2019, l’economia locale si è contratta del 1,7%. E il colpo finale è arrivato con il Covid-19: il Pil del 2020 è caduto del 6,5%.
Ora Hong Kong non è più la prima città finanziaria dell’Asia. Secondo l’Indice dei Centri Finanziaria Globali, a superarlo è stata Singapore, che è riuscita a gestire la pandemia e allentare le restrizioni per la crisi sanitaria.