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Per la sicurezza nazionale serve educazione (non gestione). I consigli di Caligiuri

Nella prossima legislatura potrebbero porsi quattro temi rilevanti sul tema della sicurezza: le politiche della difesa con la dotazione di armi avanzate, il coordinamento delle forze di polizia, la riforma dei Servizi e la creazione, auspicata da molti e da diverso tempo, di un consiglio per la sicurezza nazionale. L’analisi di Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di Intelligence

Nel 1983 negli Stati Uniti venne pubblicato A nation at risk, un rapporto della National commission on excellence in education che fece molto discutere. In piene guerre stellari, la tesi era quella che la debolezza del sistema dell’istruzione avrebbe potuto seriamente compromettere la sicurezza nazionale. Come ricordava Robert D. Steele, “la migliore arma di una nazione è una cittadinanza istruita”. Il tema della sicurezza è un problema endemico della società contemporanea, dove si dovrà sempre di più contemperare la libertà con la sicurezza, la privacy con la tutela dell’interesse nazionale: diritti necessari ma a volte incompatibili e per i quali occorre rinvenire il giusto equilibrio. L’educazione viene prima dell’economia e rappresenta la premessa della sicurezza. Infatti, il premio Nobel Joseph Stiglitz sostiene che la società si è evoluta in base alle capacità di apprendimento, per cui la conoscenza diventa il presupposto necessario dello sviluppo materiale.

Non a caso, la sicurezza rappresenta l’elemento fondante e originario che giustifica il patto sociale, poiché lo Stato nasce e si legittima dovendo prima di tutto difendere la vita dei propri cittadini. Va allora ricordato che l’ideologia dei sistemi democratici postula cittadini consapevoli, che siano in grado di individuare e controllare i propri rappresentanti, ed élite responsabili, che assolvano alle loro funzioni il più possibile orientandole verso l’interesse generale. Entrambe le caratteristiche di cittadini ed élite richiedono educazione, tema che in relazione alla democrazia è stato teorizzato nelle società industriali da John Dewey. Pertanto, i programmi elettorali dei partiti hanno trattato il tema dell’educazione individuando argomenti sul tappeto ma senza affrontare gli scenari di fondo che non sono solo educativi ma riguardano l’intera società nazionale.

L’educazione è infatti il tempo del futuro: noi studiamo oggi per programmare quello che saremo domani. Da questo punto di vista, il boom economico degli anni Sessanta venne sostenuto in modo determinante dalla riforma Gentile del 1923, mentre oggi stiamo sperimentando le politiche educative del Sessantotto, accentuate dalle riforme che dalla fine degli anni Novanta hanno riguardato senza sosta scuola e università. Sarebbe perciò necessario elaborare una “pedagogia della nazione”, che, dopo 160 anni, avvicini i livelli dell’istruzione italiana a quella dei Paesi industrializzati, ai quali apparteniamo. Una pedagogia che sia in grado di raccontare agli stessi italiani e al resto del mondo il nostro Paese, la nostra storia, le nostre risorse, le nostre prospettive.

Nei programmi elettorali dei partiti in lizza alle ultime elezioni, ad esempio, non vi erano riferimenti organici all’intelligenza artificiale, che – oltre ai temi specifici della sicurezza – avrà un impatto determinante sull’istruzione, perché destinata a sostituire tantissimi lavori e a trasformare tutti gli altri. Oggi, infatti, scuole e università rischiano di formare delle professioni destinate a una occupazione sempre più improbabile. Da ciò emerge un altro corollario e cioè che, come anticipava nel 1930 John M. Keynes, il problema del futuro è come occupare in modo vantaggioso e produttivo il tempo libero, per cui scuole e università dovrebbero formare non solo a come si lavora, ma anche a come si vive.

Il nostro futuro sarà segnato dall’ibridazione tra uomo e macchina, che è stata definita una dimensione “inevitabile”. Questa lunga premessa, è necessaria per spiegare che per affrontare le sfide della sicurezza nell’ambito nazionale, ovviamente non scisso da quello globale, devono esserci alla base persone formate e preparate nell’individuare i temi e nel saperli gestire. Infatti, per le élite va posto il tema dello sguardo corto delle scelte pubbliche, mentre per i cittadini va evidenziato il costo dell’ignoranza nella società della conoscenza, che incide nei processi democratici e quindi sulla sicurezza.

Innanzitutto, nell’ambito nazionale, diventa fondamentale la tutela degli interessi economici. Sarà sufficiente in Italia il golden power? Probabilmente no, poiché occorrono politiche molto più articolate e complesse con strumenti più acuminati. Il ruolo dello Stato democratico dovrà essere necessariamente ridefinito poiché le asimmetrie della globalizzazione favoriscono inevitabilmente gli Stati autoritari, le multinazionali finanziarie, le organizzazioni criminali e le strutture terroristiche. E questo, secondo me, soprattutto per l’inadeguata selezione delle élite pubbliche, preposte ad assicurare la sicurezza degli Stati e dalle quali dipendono le forze armate, i corpi di polizia e le agenzie di Intelligence.

L’altro aspetto che potrebbe presto investire il nostro Paese è quello del disagio sociale che da questione di ordine pubblico potrebbe trasformarsi in problema di sicurezza nazionale, mettendo in discussione la credibilità delle istituzioni democratiche. Situazione che anche in una società caratterizzata dal consumismo come la nostra si potrebbe verificare qualora aumenti il numero dei cittadini che scivoleranno verso l’indigenza. Questa tendenza, già in atto prima della pandemia e della guerra in Ucraina, potrebbe non essere contenuta dai provvedimenti del Pnrr e dalle politiche pubbliche di equità sociale o assistenza (dipende dai punti di vista), come il reddito di cittadinanza, peraltro in qualche modo indispensabile per contenere il fenomeno dell’evidente ampliamento del disagio sociale.

Inoltre, appunto la vicenda pandemica e quella ucraina hanno messo in evidenza due questioni centrali: il rischio dei virus globali, che non si esauriranno certamente con il Covid-19 e che potrebbero rappresentare un’emergenza permanente; la guerra tra Mosca e Kiev che riporta in primo piano l’importanza delle politiche energetiche, come Enrico Mattei aveva intuito già dalla fine degli anni Quaranta. Infine, ma è forse l’aspetto decisivo, occorre fronteggiare la guerra cognitiva in atto, poiché il controllo delle menti è il campo di battaglia del nostro tempo. Pertanto, in una società caratterizzata dalla disinformazione, dove la verità sta da una parte e la percezione pubblica della verità esattamente dall’altra, diventa fondamentale costruire con accortezza una diga educativa che sviluppi il pensiero critico.

Attraverso gli algoritmi, Internet orienta e manipola la percezione delle persone, evidenziando un tema ineludibile, con ricadute dirette e immediate sulla sicurezza nazionale. Questo chiama in ballo la dimensione dell’intelligenza artificiale connessa con il digitale che è l’ambiente economico, comunicativo, sociale, politico ed educativo prevalente. Da circa un anno abbiamo uno strumento in più rappresentato dall’Agenzia per la cyber-sicurezza nazionale che sta strutturando una politica nazionale sulla sicurezza informatica, attraverso vertici individuati per competenza e non per appartenenza. Lo scenario è tale per cui anche il rating di una nazione potrebbe presto essere determinato dal reale grado di inviolabilità del cyber-spazio.

Nella prossima legislatura potrebbero porsi quattro temi rilevanti sul tema della sicurezza: le politiche della difesa con la dotazione di armi avanzate, il coordinamento delle forze di polizia, la riforma dei Servizi e la creazione, auspicata da molti e da diverso tempo, di un consiglio per la sicurezza nazionale che possa affiancare il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, Cisr, coinvolgendo di più l’Intelligence community del Paese e rafforzando il ruolo del presidente del Consiglio e dell’autorità delegata. Tali interventi richiedono certamente investimenti economici ma soprattutto politiche che tutelino oggi e identifichino domani l’interesse nazionale.

E si tratta di scelte indispensabili per garantire la sicurezza e il benessere dei cittadini. Il tema centrale è chi determina, attua e verifica queste politiche. Il problema della sicurezza richiede anzitutto una adeguata formazione e selezione di un apparato pubblico che abbia contezza di quello che sta accadendo nel mondo, ma anche di cittadini che collaborino e controllino l’operato politico. I tempi di questi processi non possono certamente essere brevi e quindi stridono con le dinamiche delle campagne elettorali, ma mai come ora c’è bisogno di educazione e non di gestione.

 

(Articolo pubblicato sul numero 184 della rivista Formiche)



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