Nonostante possieda meno ambasciate che nel decennio scorso, Taipei mantiene relazioni amichevoli non ufficiali con sempre più Paesi. Secondo la sua leadership, merito di uno stile diplomatico informale
La leadership taiwanese si sta adoperando oggi più che mai per stabilire proficui contatti diplomatici con il resto del mondo. L’isola soffre di uno status internazionale molto particolare, dato che solamente tredici Paesi sui centonovantatrè delle Nazioni Unite la riconoscono come Stato.
Taipei sta cercando di portare dalla propria parte (come rapporti diplomatici) anche quei Paesi che riconoscono la sovranità cinese sull’isola. Come ha riferito un esperto del German Marshall Fund “portare dentro Taiwan, renderla parte della soluzione” è il metodo che il governo locale sta utilizzando per evitare l’isolamento internazionale. “E’ un modo di ripensare la diplomazia tradizionale verso direzioni più attuali, di continuo esercizio del soft power“. Questa rinnovata attività diplomatica è stata alimentata dal crescente senso di insicurezza proveniente dalle sempre più insistenti richieste cinesi e dalle nuove opportunità di networking create dagli Stati Uniti.
L’ombra di Pechino si fa sempre più minacciosa: oltre alle imponenti esercitazioni militari di quest’estate e alle crescenti minacce, il presidente Xi Jinping durante il discorso di apertura del Congresso del Pcc ha affermato che l’annessione di Taiwan alla Cina è un “requisito naturale” per la Repubblica Popolare e ha aggiunto che il suo governo userà “tutti i mezzi necessari”.
Nonostante possieda meno ambasciate all’estero che nel decennio scorso, Taipei gode oggi di più legami di fatto con un’ampia gamma di attori. Per mantenere i propri legami con il Guatemala, Taiwan si affida a lobbisti a Washington. Per le relazioni con i Paesi dell’area dell’Oceano Pacifico promette di aiutare a preservare la cultura indigena. Per i contatti con la Lituania, il governo Taiwanese e i suoi cittadini importano prodotti di ogni genere, dai laser a una grappa al gusto di pancetta.
Il caso lituano è di particolare interesse, in quanto esemplificativo del modus operandi di questo stile di diplomazia. Circa un anno fa Vilnius si rifiutò di importare un modello di telefono cellulare cinese, che includeva un registro di censura di circa cinquecento termini vietati dal governo di Pechino. Si scatenò una vera e propria rappresaglia nella Repubblica Popolare, dove divenne quasi impossibile reperire beni lituani. Nella controversia si inserì prontamente Taipei, aprendo un’ambasciata de facto a Vilnius e annunciando la creazione di un fondo da duecento milioni per investimenti nel paese baltico, e un programma da un miliardo a finanziamento di progetti comuni, tra cui programmi su semiconduttori.
Da allora, il governo e la popolazione dell’Isola si sono stretti attorno alla Lituania: aumento dell’interscambio commerciale, negozi che esauriscono i prodotti lituani, episodi di tassisti che si rifiutano di far pagare la corsa ai passeggeri baltici.
La nuova frontiera della diplomazia passa anche attraverso l’uso dei social media. Esistono centinaia di volontari che si occupano di creare contenuti per i Paesi di interesse, dove tenere alto il livello di connessione e amicizia. Ad esempio c’è il caso dell’Honduras. Il piccolo Paese centroamericano sta flirtando con Pechino, stimolando la creazione di immagini satiriche sul web, che invitano scherzosamente a considerare i legami con Taipei.
Insomma, la Repubblica Popolare Cinese è un gigante e ha parecchio da offrire in termini economici ai Paesi che vi si vogliono legare. Taiwan deve inventarsi modi meno tradizionali di fare diplomazia, e a quanto pare ci sta riuscendo.
(Photo by Winston Chen on Unsplash)