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Technopolicy – Aresu, i chip e la sfida tecnologica tra Usa e Cina

Con Alessandro Aresu parliamo di semiconduttori: a che punto è la competizione globale, in un mercato che vale 500 miliardi di dollari e raddoppierà da qui al 2030, che effetto hanno i sussidi miliardari messi in campo da decine di governi, che effetti producono le sanzioni sulle filiere e sulle strategie a lungo termine dei Paesi. Mai come in questo settore, geopolitica ed economia si incontrano (scontrano?)

Technopolicy, il podcast di Formiche.net 

All’incrocio tra tech e politica, tra innovazione e relazioni internazionali, tra digitale e regolazione, abbiamo deciso di creare un nuovo “contenitore”, Technopolicy. 

Ogni settimana incontrerò esperti, accademici, manager, giuristi, per discutere di un tema specifico e attuale. Ciascuno di questi incontri diventerà un video su Business+, la nuova piattaforma tv on demand; un podcast su Spreaker, Spotify, Apple e gli altri canali audio; un articolo su Formiche.net. Perché ognuno ha il suo mezzo preferito per informarsi e a noi interessa la sostanza e non la forma. Gli episodi sono stati scritti e prodotti insieme a Eleonora Russo.

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Technopolicy – Alessandro Aresu, I chip e la sfida tecnologica tra Usa e Cina

La competizione tra Stati Uniti e Cina si gioca soprattutto per la leadership tecnologica. E al centro dello scontro c’è il primato nel settore dei semiconduttori, i cervelli elettronici di tutti dispositivi di penultima, ultima e prossima generazione. Per accaparrarsi i siti di produzione è partita una nuova “corsa all’oro”, complice la pandemia che ha travolto le catene di produzione globali. Una corsa che passa inevitabilmente per Taiwan dove c’è la fonderia più grande al mondo. Alessandro Aresu, Direttore scientifico della scuola di politiche, racconta gli sviluppi di questa grande partita globale. 

Ci racconti il tuo percorso professionale?

La mia carriera si è svolta e si svolge tutt’ora in tre ambiti. Il primo riguarda il lavoro come autore e giornalista. A questo proposito, ho iniziato a tradurre libri su vari argomenti, dalla filosofia alla politica industriale, alla geopolitica. E anche a collaborare con varie riviste, tra cui Limes con cui lavoro dal 2006. La seconda parte della mia carriera è quella relativa al mio ruolo di esperto di politiche pubbliche e di consulente di alcune istituzioni. Un ruolo che ho portato avanti soprattutto nell’ultimo decennio lavorando per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per cui ho incarico tutt’ora e quindi vi parlo solo a titolo personale, i ministeri degli Esteri, dell’Economia, della Giustizia, dell’Università, del Sud e altre istituzioni come Cassa Depositi e Prestiti, l’Agenzia Spaziale Italiana, Mediocredito Centrale. La terza e ultima parte, a cui sono molto legato, è relativa alla formazione dei giovani su temi riguardanti le politiche pubbliche, la politica economica e la tecnologia. Il mio percorso, quindi, cerca di coniugare queste tre identità. 

Tecnologia e politica. Il nostro podcast parla proprio di questo. La filiera dei semiconduttori, un settore che è emblema di quanto politica e tecnologia siano oggi inseparabili, è stata molto colpita dalla pandemia. L’emergenza ha imposto un ripensamento del comparto dettato soprattutto da dinamiche geopolitiche e dalla dipendenza di Stati Uniti ed Europa dalla Cina. Qual è oggi lo stato della competizione tra Usa e Cina nel settore dei semiconduttori? 

Innanzitutto, reputo positivo che oggi ci sia una certa attenzione pubblica su un’industria sottovalutata in passato ma che ritengo la più importante del mondo. Questa centralità è dovuta al fatto che si tratta di un’industria abilitante, necessaria per alimentare tutto ciò che è tecnologico. Senza persone che studiano ingegneria elettronica non avremo il mondo digitale. In secondo luogo, la Repubblica Popolare Cinese ha una straordinaria disponibilità di semiconduttori, essendo la prima delle sue importazioni. Ancor più del petrolio. Attualmente sono quindi una componente fondamentale per la struttura della più grande manifattura al mondo che è oggi la Cina. Quella dei chip è un’industria estremamente complessa, sia in termini tecnici sia dell’evoluzione registrata negli ultimi 40 anni. Gli Stati Uniti si sono posizionati in questo comparto con un ruolo di primissimo piano nella parte di progettazione, aspetto indispensabile per la produzione di semiconduttori su larga scala.

Ma il vero tema sono le strutture produttive che, come sappiamo, sono collocate soprattutto in Paesi dell’Asia orientale. La Cina, tenendo conto di questi elementi, sta investendo cifre elevatissime in progettazione oltre che in capacità produttive proprio per recuperare terreno. Si tratta di un investimento che viene rivendicato pubblicamente e rientra nel piano Made in China 2025, che però ha dei target che non è riuscita a rispettare e non rispetterà. L’obiettivo degli Stati Uniti, in definitiva, è impedire che l’ascesa cinese nei semiconduttori sia così preponderante come quella avvenuta in altri settori tecnologici. Altro obiettivo è raggiungere un equilibrio della struttura produttiva dei semiconduttori per le catene del valore atlantiche e occidentali. 

Hai citato i grandi investimenti della Cina nel settore dei semiconduttori. Negli ultimi anni abbiamo assistito a politiche industriali più o meno allineate nel sussidiare questa industria (Stati Uniti e Europa in pole position) con paesi come il Giappone, storicamente restio ad aprire i suoi mercati ad investitori stranieri, che ha introdotto una serie di incentivi economici per potenziare il comparto. Insomma, negli ultimi anni sono state iniettate moltissime risorse in un’industria che fino a questo momento aveva funzionato, secondo logiche di mercato, in maniera abbastanza efficiente. Cosa succederà quando queste politiche industriali pubbliche, che possono drogare il mercato, arriveranno a compimento? Cosa accadrà quando la produzione arriverà dove la si vuole far arrivare? 

Rispetto a questo aspetto va detto in via preliminare che ci sono due categorie di politiche industriali: quelle in superficie e quelle più profonde. Ci sono state alcune dispute a riguardo, come lo storico braccio di ferro tra Giappone e Stati Uniti avvenuto negli anni ’80 in un momento storico in cui gli Usa cercavano di contenere l’ascesa industriale del Giappone e controbilanciare la forza dello Yen. Basti pensare che il famoso ministero dell’Industria giapponese dell’epoca aveva avviato una serie di acquisizioni estere, fino ad arrivare addirittura a mettere gli occhi su una delle aziende più famose della storia dei semiconduttori, l’americanissima Fairchild Semiconductor. E’ stato proprio in quell’occasione che il Congresso e gli apparati degli Stati Uniti hanno istituito il sistema attuale di controllo degli investimenti esteri estendendo alcuni poteri anche al Presidente. Questo ci fa capire che c’è sempre questo tipo di “gioco” dal punto di vista storico.

In secondo luogo, il destino di questa industria dipende dalla sua evoluzione. La pervasività dei semiconduttori in altri settori industriali e nei dispositivi di ultima generazione comporterà un significativo aumento del valore del comparto: l’industria vale oggi circa 500 miliardi a livello globale e le proiezioni parlano di 1.000 miliardi nel 2030, dunque ci sarà un generale allargamento della torta In questo processo ci sono poi elementi di competizione, tra cui i sussidi. 

Nell’affrontare questa riflessione è importante considerare la complessità dell’industria dei semiconduttori in tutti gli elementi della sua catena del valore, tra cui le grandi capacità di ricerca. Su quest’ultimo aspetto, ad esempio, l’Europa sta investendo moltissimo in quei luoghi dove si costruisce la ricerca che non riguardano solo la produzione. Ma anche la progettazione, il design e i componenti chimici di testing che sono fondamentali per la sussistenza dell’industria. Nei Paesi Bassi c’è l’impresa più importante del mondo in questo campo, l’Asml, che ha scelto uno slogan molto interessante per raccontarsi “l’impresa più importante di cui non avete mai sentito parlare”. Frase che trovo molto rappresentativa del settore dei semiconduttori. 

In definitiva,  è importante capire dove si crea valore e si stimola la nascita di nuove grandi imprese, come le aziende esistenti si rafforzano e diventano più innovative. E ciò deriva sempre da un mix di elementi di politica industriale, visione strategica ma anche pura capacità organizzativa imprenditoriale e capacità innovativa. Si tratta di un settore che non può essere semplicemente imbrigliato dalle scelte statali ma che sicuramente richiede una grande collaborazione e consapevolezza. Importantissimo è anche l’aspetto dell’organizzazione dei talenti. Su di esso si stanno già giocando in Asia, e si giocheranno sempre più a livello globale, delle grandi delle grandi partite per accaparrarsi e formare i talenti migliori. 

Dalle tue parole si capisce ancor di più che non si può fare innovazione per decreto. Ci sono tropppe componenti necessarie a crescere in un settore così competitivo e globale. Eppure nel mondo dei semiconduttori ci sono stati dei decreti, soprattutto a livello americano, che hanno avuto un impatto sul comparto. Penso, ad esempio, alle sanzioni applicate nel 2020 dall’amministrazione Trump per limitare il trasferimento tecnologico tra Stati Uniti e Cina.  E’ pensabile un futuro in cui questi due giganti mondiali costruiscono delle catene che non sono interdipendenti come quelle attuali?  Una dose di interdipendenza è forse obbligatoria in un settore che è molto condizionato dalla geopolitica e che è per definizione strategico? 

Esistono le regole dell’economia e le regole della geopolitica. Ma personalmente non appartengo alla categoria di persone per cui esiste solo politica o solo l’economia. Le imprese devono andare sul mercato, essere quotate, avere reputazione e credibilità con degli investitori. Naturalmente queste stesse imprese sono collocate in luoghi fisici, all’interno di Stati che hanno rapporti con altri Stati. Questo per dire che c’è una forte interconnessione nelle grandi supply chain come quella dei semiconduttori. Una filiera che, come altre, coinvolge effettivamente un insieme di Paesi generando i cosiddetti colli di bottiglia. In una catena del valore le ragioni per cui per motivazioni politiche si può fermare o forzare la catena con degli effetti che possono essere potenzialmente di distruzione economica o comunque danno economico sono diverse.

Viviamo in un mondo in cui le sanzioni degli Stati Uniti hanno un peso molto rilevante. E anche su questo la storia ci aiuta a leggere meglio alcuni fatti. Il sistema delle sanzioni statunitensi è stato codificato principalmente durante due guerre: la prima guerra mondiale con il Trading with the Enemy Act e la guerra di Corea del 1950 con il Defense Production Act. Da queste due fonti normative promanano tantissimi elementi di diritto che condizionano il sistema finanziario, anche per il ruolo internazionale del dollaro, e il sistema industriale. Quindi, com’è stato mostrato in particolare nel 2020, la capacità di condizionamento degli Stati Uniti della catene del valore è molto elevata.

Questo non significa però che le sanzioni siano strumenti di per sé ogni potenti dal punto di vista economico e politico. Rispetto a questo ambito, infatti, la storia dimostra che quando l’obiettivo delle sanzioni era il cambio di determinati regimi politici non sempre ciò è avvenuto. Soprattutto perché l’obiettivo delle sanzioni è piuttosto l’indebolimento degli avversari. Inoltre, le sanzioni hanno molti effetti indiretti. Ad esempio, se si intende diminuire la capacità dell’avversario in un mercato ma quell’attore appartiene a sistemi politico-economici che hanno una loro particolare flessibilità, come quello cinese, questo rappresenta paradossalmente un incentivo ad affacciarsi su altri mercati. Ad esempio: un blocco nelle telecomunicazioni può provocare l’effetto indiretto di incoraggiare lo spostamento in settori e mercati come la mobilità elettrica o il cloud. Quale sarà l’effetto ultimo di questo processo è difficile da prevedere. 

Ci consigli qualcuno da leggere o seguire?

Vi sorprenderò perché consiglio il libro di uno storico: The Economic Weapon di Nicholas Mulder. Abbiamo parlato di quanto le sanzioni siano importanti per comprendere la tecnologia e la geopolitica. E questo libro racconta la storia delle sanzioni tra le due guerre e spiega molto bene come nasce il sistema. Prendetevi un fine settimana per leggerlo, ne vale la pena. 



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