Il Consiglio europeo prima di Natale sarà il primo da presidente del Consiglio per la leader di Fratelli d’Italia. In quell’occasione i 27 dovranno decidere sui fondi all’Ungheria. Con chi starà Giorgia?
“Ovviamente non mi sfuggono la curiosità e l’interesse per la postura che il governo terrà verso le istituzioni europee”, ha ammesso Giorgia Meloni nel suo discorso alla Camera per il voto di fiducia al suo governo. “O ancora meglio, vorrei dire dentro le istituzioni europee”, ha continuato il presidente del Consiglio. “Perché è quello il luogo in cui l’Italia farà sentire forte la sua voce, come si conviene a una grande nazione fondatrice”. Come? “Non per frenare o sabotare l’integrazione europea, come ho sentito dire in queste settimane, ma per contribuire a indirizzarla verso una maggiore efficacia nella risposta alle crisi e alle minacce esterne e verso un approccio più vicino ai cittadini e alle imprese”, ha spiegato. E ancora: “Non concepiamo l’Unione Europea come un circolo elitario con soci di serie A e soci di serie B, o peggio come una società per azioni diretta da un consiglio di amministrazione con il solo compito di tenere i conti in ordine. L’Unione europea per noi è la casa comune dei popoli europei e come tale deve essere in grado di fronteggiare le grandi sfide della nostra epoca”.
Potrebbe arrivare dal Consiglio europeo che si terrà il 15 e il 16 dicembre, il primo per Meloni da presidente del Consiglio, la più importante indicazione della politica estera del nuovo governo italiano guidato dalla leader di Fratelli d’Italia. In quell’occasione i leader degli Stati membri dell’Unione europea potrebbero essere chiamati a prendere una decisione sul taglio proposto un mese fa dalla Commissione europea dei fondi europei all’Ungheria per un totale di 7,5 miliardi di euro.
Si tratta del 65% dei fondi destinati a Budapest fino al 2027 nell’ambito della politica di coesione comunitaria. A cui aggiungere gli altri 7 miliardi del Pnrr ungherese, già congelati da Bruxelles. Il motivo è sempre lo stesso: i problemi dell’Ungheria di Viktor Orbán sullo stato di diritto nel Paese. Ad aprile la Commissione aveva chiesto al governo ungherese di correggere le irregolarità nelle procedure di appalto e rafforzare le leggi in tema di conflitto d’interessi e corruzione. Il primo ministro è corso ai ripari, proponendo una serie di future misure correttive. Ma prima di elargire i fondi, la Commissione europea vuole vedere le riforme.
Il governo ungherese ha proposto 17 riforme entro il 19 novembre, tra cui la creazione di un ente anticorruzione, un disegno di legge sugli appalti e uno per aumentare la trasparenza della pubblica amministrazione. Potrebbe essere abbastanza per soddisfare la Commissione europea, che potrebbe dunque suggerire al Consiglio di dare all’Ungheria il tempo necessario per attuare il suo programma. Ma è forte la pressione del Parlamento europeo, che recentemente ha pubblicato un documento di 32 pagine sulle violazione dello stato di diritto definendo il Paese una “autocrazia elettorale”.
Palla, dunque, al Consiglio europeo, che potrebbe decidere a maggioranza qualificata di attivare il regolamento sulla condizionalità legata al rispetto dello stato di diritto. Sarebbe la prima volta del ricorso a questo strumento. Finora, infatti, il Consiglio puntava sull’arma della sospensione dei diritti di voto, che però richiede l’unanimità dagli altri 26.
Nel fine settimana Orbán è tornato a tuonare contro l’Unione europea, che “spara” sull’Ungheria, la cui economia dipende fortemente dalle importazioni di idrocarburi russi, tramite le sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Le ha definite una “bomba economica”. Poche ore prima si era affrettato a congratularsi con Meloni: “Una grande giornata per la destra europea”, ha twittato.
Al vertice dei leader europei di dicembre, il primo ministro ungherese troverà davanti a sé, per dirla con il professor Giovanni Orsina, “Meloni 1”, quella eurorealista, che si mette nella scia di Mario Draghi dicendosi pronta a partecipare fino in fondo al gioco europeo trattando con tutti i Paesi a cominciare da Francia e Germania, che per prima cosa da presidente del Consiglio chiama i vertici delle istituzioni europee? O “Meloni 2”, la paladina del conservatorismo trumpian-orbaniano?