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La (vera) transizione è nelle rinnovabili. Becchetti spiega perché

Per la rivoluzione dell’indipendenza energetica non c’è bisogno di enormi investimenti pubblici, di scostamenti dagli obiettivi di deficit e debito pubblico che farebbero impennare il nostro spread. Basta rimuovere il collo di bottiglia o meglio il tappo che frena la crescita delle rinnovabili. Il commento di Leonardo Becchetti, nelle libreria con il suo ultimo saggio “Rinnovabili subito” (Occhielli)

Di fronte all’esplosione del prezzo del gas e al dramma di famiglie e imprese alle prese con il problema dell’erosione del potere di acquisto di salari e risparmi non dovremmo avere come unico obiettivo che quello dell’indipendenza energetica. Che l’energia sia un fattore strategico e decisivo per la nostra vita ce ne accorgiamo ora che costa moltissimo e rischiamo di doverla razionare per i problemi di fornitura dalla Russia. Finché i prezzi erano bassi o bassissimi (circa due anni fa il petrolio ha fatto segnare prezzi negativi) non ci sembrava un problema o un’anomalia il fatto di dipendere da paesi terzi che decidono se aprire o no il rubinetto.

Oggi capiamo che è un problema perché periodicamente quei paesi possono di fatto manovrare quantità e prezzi (l’Opec lo fa da decenni) e incidere pesantemente sulla nostra vita. Dopo la crisi petrolifera di fine anni 70 non potevamo che continuare ad utilizzare il petrolio ma oggi è diverso per almeno due motivi. Il primo è che l’emergenza climatica ha posto come obiettivo quello dell’uscita graduale ma decisa dalle fonti fossili (carbone, petrolio e gas). Il secondo è che esiste ormai da anni una letteratura scientifica che spiega in che modo è possibile arrivare nel prossimo futuro ad una società nella quale l’energia è prodotta da fonti rinnovabili.

Ed è piuttosto inutile ed ozioso ora disquisire se il 100 percento di rinnovabili sia possibile o meno. Molto più intelligente sarebbe muovere dalla quota molto bassa prodotta da fonti rinnovabili nel nostro Paese verso obiettivi ambiziosi come quelli che si sono dati e hanno parzialmente raggiunto paesi come il Portogallo (già al 60% di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili) e la Germania (per entrambi l’obiettivo è 100 % di energia elettrica da fonti rinnovabili).

Mentre purtroppo l’attualità è quella di bollette che esplodono e mettono in ginocchio famiglie e imprese dobbiamo far rilevare che da anni esistono pezzi di paese liberato dalla dipendenza energetica. Famiglie che già fanno parte di comunità energetiche o che personalmente autoproducono energia. Ed imprese che hanno trasformato un costo in risorsa grazie all’autoproduzione da pannelli sopra i capannoni ed ora hanno un vantaggio competitivo formidabile rispetto ai loro competitori che non hanno fatto questa scelta.

Per la rivoluzione dell’indipendenza energetica non c’è bisogno di enormi investimenti pubblici, di scostamenti dagli obiettivi di deficit e debito pubblico che fanno impennare il nostro spread. Basta rimuovere il collo di bottiglia o meglio il tappo che frena la crescita delle rinnovabili. Terna ci ricorda che ci sono 280 gigawatt di progetti depositati in attesa di autorizzazione, quattro volte quanto necessario per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del 2030.

Eolico offshore, fotovoltaico flottante, comunità energetiche abbiamo l’imbarazzo della scelta su come raggiungere l’obiettivo. Nel volume scritto assieme a Francesco Naso e Claudio Becchetti appena uscito con Donzelli abbiamo spiegato come tutte le obiezioni sulle rinnovabili relative ad occupazione di superficie, intermittenza, dipendenza da materiali prodotti in paesi esteri sono superate e superabili.
Dal governo del nostro paese in ritardo aspettiamo alcune cose fondamentali: accelerazione delle autorizzazioni, decreti attuativi sulle comunità energetiche (in ritardo di un anno) e un piano per il fotovoltaico su tutti gli edifici pubblici che crei risparmi riducendo i costi in bolletta per lo stato. Il saldo di questa manovra è positivo per il bilancio pubblico. Più entrate e non più deficit. Una grande occasione per dimostrare di non essere a favore della libertà di mercato solo a parole.


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