Diversi i punti di contatto tra il documento dell’amministrazione Biden e il recente discorso di Borrell, a partire dal riconoscimento dell’importanza della sfida posta della Cina. “Questi atti indicano gli interessi che vanno difesi, ma per farlo serve che prima vengano definiti. È il momento che lo faccia anche l’Italia”, commenta il professore associato di Scienza politica all’Università di Genova
Quello di Josep Borrell agli ambasciatori dell’Unione europea è stato un discorso di “autocritica e presa di coscienza”, commenta Fabrizio Coticchia, professore associato di scienza politica all’Università di Genova.
Il tono utilizzato dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza è la prima novità rilevante che osserva. Il capo della diplomazia europea ha “ammesso diversi e molteplici errori da parte dell’Unione: l’incapacità di prevedere l’invasione russa nonostante le avvisaglie americane e la mancanza di rapidità della macchina diplomatica nel fornire informazioni, gli errori nella comunicazione anche del modello dell’Unione europea e le difficoltà del tentativo di processo di comunitarizzazione della politica estera europea e del mondo con cui si analizza e fa la politica estera”, spiega Coticchia.
C’è poi l’elemento del rapporto con Cina, Russia, Stati Uniti. “Si fa riferimento al decoupling dalle fonti della sicurezza, che abbiamo delegato agli Stati Uniti, e della prosperità, come gas russo e mercato cinese. Ma se la parte legata a Cina e Russia è interessante ma già stata ascoltata diverse volte dopo il 24 febbraio, quella legata agli Stati Uniti è rivelante e questo si lega alla vittoria della destra radicale in molti Paesi dell’Unione, con possibili shift interno e rapporti economici diversi con gli Stati Uniti, specie in caso di un altro Trump alla Casa Bianca”. Inoltre, forte enfasi è stata posta sul rapporto tra democrazie e autoritarismi. “Borrell ha sottolineato che tra di noi non ci sono solo democrazie, un velato riferimento a Polonia e Ungheria. Ma si è soffermato anche sul rapporto con Stati che stanno dalla nostra parte ma che non sono regimi democratici. Infine, ha mostrato una certa consapevolezza dell’elemento centrale delle relazioni internazionali, cioè il rapporto tra Stati Uniti e Cina, e quindi il ruolo dell’Unione europea in questo contesto, e la centralità non tanto dei fattori economici ma di quelli culturali, che spiegano in larga parte la Brexit per esempio”.
Borrell ha spiegato che la Russia rappresenta una minaccia in Europa orientale ma la portata della sfida posta dalla Cina è ben diversa. Parole in linea con la National Security Strategy diffusa dall’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden. “Il focus sulla Cina e il tema fondamentale delle relazioni internazionali del futuro, cioè il tentativo di Pechino di modificare l’ordine internazionale e gli sforzi degli Stati Uniti per contrastarlo, rappresentano il primo aspetto da evidenziare dal documento”, osserva Coticchia. Dunque, rimangono il pivot to Asia dell’era di Barack Obama e la competizione tra grandi potenze evidenziata dall’amministrazione di Donald Trump.
Ma una differenza cruciale c’è, ed è il secondo punto che il professore evidenzia. “La dimensione multilaterale del sistema di alleanze è fondamentale per gli Stati Uniti nel contrasto alla Cina e in secondo luogo alla Russia. Per questo l’Europa ha un ruolo fondamentale, anche alla luce della narrazione americana del contrasto fra democrazie e autoritarismo e della consapevolezza dei rischi interni per la democrazia”.
Infine, terzo punto che Coticchia sottolinea, è l’idea stessa di elaborazione di una National Security Strategy. “Era volontà del precedente governo italiano elaborarla, come stanno facendo diversi Paesi tra cui la Germania. Questi documenti indicano gli interessi che vanno difesi, ma per farlo serve che prima vengano definiti. È il momento che lo faccia anche l’Italia, al di là della necessità di implementare il Libro bianco”, conclude.